- L’erosione rimuove lo strato fertile, con perdite di nutrienti, calo delle rese e impatti su acqua e biodiversità.
- Agenti principali: pioggia, fiumi, vento, ghiaccio, mare e attività umane; forme da laminare a voragini.
- Pratiche chiave: copertura >30%, semina su sodo (fino a -95% erosione), fasce tampone, terrazzamenti, drenaggi.
- Monitoraggio e VRA guidano interventi mirati, riducono sprechi e tagliano i carichi di sedimenti e nutrienti.
La perdita di suolo fertile non è un dettaglio: secondo stime internazionali, ogni anno si disperdono circa 24 miliardi di tonnellate di terreno produttivo. A ciò si sommano costi elevatissimi per compensare i nutrienti dilavati: tra 110 e 200 miliardi di dollari l’anno in fertilizzanti usati per rimpiazzare quello che l’erosione porta via. In parallelo, la metà dei suoli arabili del pianeta risulta già degradata e in molte aree agricole il fenomeno minaccia direttamente redditività e sicurezza alimentare.
In termini semplici, l’erosione è il trasferimento di materiali dal “più alto” al “più basso”: acqua, vento, ghiaccio e gravità distaccano, trasportano e depositano sedimenti. È un processo naturale, ma le attività umane (deforestazione, pratiche agricole inadeguate, pascolo eccessivo, costruzioni mal pianificate) possono accelerarlo in modo drammatico. Una precisazione utile: l’intemperismo (disgregazione fisica, chimica o biologica) è la fase che precede l’erosione, non va confuso con essa.
Che cos’è l’erosione del suolo e perché accelera in agricoltura
Nel contesto agricolo, l’erosione rimuove prima di tutto lo strato più superficiale, quello più prezioso perché ricco di sostanza organica, nutrienti e vita biologica, riducendo la fertilità e il potenziale produttivo dei campi. L’azione di pioggia intensa, vento e ruscellamento, se combinata a suoli nudi o mal gestiti, porta al dilavamento delle particelle più fini, le stesse che trattengono acqua e nutrienti.
Le proprietà fisiche e strutturali fanno la differenza: i suoli sabbiosi, spesso più sciolti, sono più vulnerabili al trascinamento, mentre profili ben strutturati, ricchi di macropori e sostanza organica, tendono a favorire l’infiltrazione e a ridurre l’escoamento superficiale. In altri termini, più è efficiente l’ingresso dell’acqua nel profilo, minore sarà l’energia disponibile per staccare e trasportare particelle.
Le pratiche agronomiche possono rallentare o amplificare tutto: disboscamento e degradazione della vegetazione, bruci, monocoltura, eccesso di lavorazioni, pascolo intenso e coltivazioni su forti pendenze sono tra i principali fattori che moltiplicano i tassi di erosione. Al contrario, coperture vegetali, lavorazioni conservative e gestione oculata delle pendenze funzionano come “ammortizzatori” dell’energia erosiva.
Fasi del processo erosivo
L’erosione si sviluppa tipicamente in tre momenti che si susseguono: disgregazione (intemperismo), trasporto e deposizione. La prima fase indebolisce il substrato, la seconda sposta i sedimenti e la terza li accumula in nuove posizioni, modellando il paesaggio e ridefinendo la topografia locale.
Il trasporto dipende dall’energia in gioco. In bacini con forti pendenze, fino al 60% del suolo eroso può raggiungere corsi d’acqua, mentre in pianura gran parte del materiale tende a fermarsi prima. In media, solo il 5–10% dei sedimenti erosi arriva fino al mare, con il resto che si deposita in alvei, pianure alluvionali, depressioni e invasi.
Questa ridistribuzione ha risvolti ambientali importanti: torbidità e sedimenti in eccesso riducono la penetrazione della luce, penalizzano la fotosintesi di alghe e macrofite e compromettono l’ossigenazione naturale dell’acqua. Allo stesso tempo, il deposito nei letti fluviali accelera l’assoreamento e incrementa il rischio di piene durante le stagioni piovose.
Non meno cruciale è il fattore “inquinanti”: insieme ai sedimenti, possono essere trascinate molecole di fertilizzanti e fitofarmaci, con effetti a catena su fauna e flora acquatiche e sui processi di autodepurazione dei corpi idrici. Anche su questo fronte, una buona gestione agronomica può tagliare drasticamente i carichi convogliati nei canali.

Tipi di erosione per agente
Erosione pluviale: è dovuta all’azione diretta della pioggia e del ruscellamento superficiale. Nelle regioni tropicali ed equatoriali, dove le precipitazioni sono intense e concentrate, l’impatto delle gocce (splash) e il flusso superficiale possono rimuovere rapidamente lo strato fertile e innescare solchi, ravine e forre.
Erosione fluviale: interessa l’alveo e le sponde dei corsi d’acqua. In aree montane o con forti dislivelli, la maggiore velocità di corrente accresce la capacità di trasporto e la potenza erosiva, soprattutto durante piene e periodi piovosi, favorendo instabilità spondale e ridefinizione del canale.
Erosione eolica: i venti sollevano e spostano particelle fini, erodendo superfici sciolte e modellando dune e deserti ghiaiosi. Il fenomeno è tipico di ambienti aridi o semiaridi con copertura vegetale scarsa o assente, ma può manifestarsi anche in suoli agricoli spogliati.
Erosione glaciale: i ghiacciai, muovendosi, abrasionano e fratturano le rocce e trasportano da limi a massi di grandi dimensioni. Oggi il processo è attivo nelle zone polari e sulle alte catene, ma le sue tracce sono diffuse anche a latitudini temperate come eredità delle glaciazioni passate.
Erosione marina (abrasione costiera): l’azione delle onde e delle correnti lungo i litorali demolisce e ridistribuisce sedimenti, dando origine a forme come falesie, spiagge e cordoni litoranei. In presenza di coste non protette, l’arretramento può essere marcato.
Erosione antropica: generata direttamente o indirettamente dall’uomo (disboscamento, urbanizzazione, cave, infrastrutture, gestione agricola scorretta). È spesso rapida e intensa, e dunque tra le più impattanti perché modifica in poco tempo assetto e funzione degli ecosistemi.
Intensità e forme sul terreno: da laminare a voragini
Erosione laminare: è la forma più subdola, perché rimuove in modo omogeneo lo strato superficiale senza lasciare segni evidenti. Prodotta dallo scorrimento di sottili veli d’acqua o dal vento, impoverisce rapidamente i primi centimetri del profilo e passa spesso inosservata.
Erosione in solchi (rill): quando il ruscellamento si concentra, si formano piccoli canali che incidono il suolo seguendo le linee di massima pendenza. È già un livello più intenso, ma può essere corretta con pratiche di rimodellamento del terreno e coperture vegetali.
Ravine: i solchi si allargano e si approfondiscono, la sezione incisa cresce e l’instabilità aumenta. In suoli molto suscettibili o su pendii disboscati, l’acqua delle piogge aggrava rapidamente la situazione fino a intercettare, in alcuni casi, il livello di falda.
Voragini (gully, “voçorocas”): stadio più severo, con grandi cavità e perdita massiva di suolo. Oltre a ridurre drasticamente l’area coltivabile, interrompono la continuità del paesaggio e richiedono interventi ingegneristici e biologici complessi per essere stabilizzate.
Fattori che aumentano la suscettibilità all’erosione
Rilievo e pendenza: più una versante è lunga e inclinata, maggiore è l’energia del flusso e quindi la capacità di distacco e trasporto. Il “dove” e il “quanto” contano: pendenze estese raddoppiano l’effetto erosivo al crescere della lunghezza del percorso dell’acqua.
Pioggia e clima: non basta la quantità annua; contano intensità, durata e frequenza degli eventi. Scrosci di breve durata ma molto intensi generano picchi di ruscellamento e innescano con facilità solchi e ravine. Periodi secchi seguiti da episodi estremi aggravano il quadro.
Tessitura e struttura del suolo: sabbiosi e limosi, se nudi, sono più facili da mobilitare nonostante l’alta infiltrabilità; i suoli molto argillosi hanno buona aggregazione, ma se compattati o crostosi favoriscono il deflusso superficiale. Sostanza organica e aggregati stabili aumentano la resistenza al distacco.
Copertura vegetale: residui e chiome attenuano l’impatto delle gocce, rallentano l’acqua e le radici stabilizzano il profilo. Monocolture a copertura discontinua proteggono meno rispetto a miscugli, prati o sistemi forestali che offrono protezione tutto l’anno.
Uso del suolo e gestione: deforestazione, bruci, arature intensive lungo massima pendenza, pascolo concentrato e urbanizzazione senza regimazione delle acque aumentano drasticamente i tassi di erosione. In agricoltura, la transizione da ecosistemi complessi a agroecosistemi semplificati richiede pratiche conservative per evitare degradazione.
Impatto ambientale e socioeconomico
L’erosione genera una lunga catena di effetti: perdita di nutrienti, riduzione della fertilità e calo delle rese, spesso compensati da input crescenti, con aumento dei costi. In parallelo, il dilavamento selettivo può acidificare lo strato superficiale e peggiorare la disponibilità di elementi chiave per le colture.
Nei corpi idrici, sedimenti e torbidità riducono la luce, penalizzano la fotosintesi e possono causare squilibri nella biodiversità acquatica. L’assoreamento di fiumi e laghi, riempiendo le sezioni, eleva il rischio di esondazioni, mentre l’instabilità dei versanti incrementa frane e scivolamenti in aree urbanizzate.
Le infrastrutture non sono immuni: strade, ponti e opere di drenaggio soffrono quando il suolo perde coesione o si sposta. Su scale regionali, l’erosione contribuisce a arenizzazione e desertificazione, con perdita di habitat e servizi ecosistemici. A livello globale, il quadro è allarmante: circa l’80% delle terre coltivabili è esposta a processi erosivi significativi, con forte impatto economico e sociale.
Compattazione del suolo: un problema gemello
Oltre al distacco e al trasporto, molti sistemi agricoli subiscono compattazione, ossia la compressione delle particelle che riduce porosità, infiltrazione e sviluppo radicale. Le cause principali sono il passaggio di macchinari pesanti, il calpestio del bestiame e la scarsa copertura del suolo.
Gli effetti sono noti: maggior ruscellamento, minor ritenzione idrica, radici costrette in strati superficiali e sensibilità agli stress idrici. Per mitigare: pneumatici a bassa pressione o cingoli, riduzione dei passaggi, traffico controllato, incremento di sostanza organica e coperture. Una buona struttura è la prima “difesa” anti-erosiva.
Prevenzione e controllo: pratiche efficaci in campo
Conoscere il suolo e la sua capacità: caratterizzare unità pedologiche, pendenze e uso del suolo permette di scegliere il set di pratiche adatto a ogni parcella. Carte, sopralluoghi e campionamenti supportano decisioni localizzate.
Copertura permanente o stagionale: mantenere residui o colture di copertura (cover crops) riduce l’energia delle gocce e rallenta l’acqua in superficie. Per un effetto tangibile, la copertura dovrebbe superare il 30% della superficie, anche con rotazioni mirate.
Coltivazione in fasce e lungo le curve di livello: su pendii, alternare strisce colturali e seminare in contorno stabilizza il flusso e interrompe i canali preferenziali. Per l’azione del vento, le fasce dovrebbero essere perpendicolari alla direzione dei venti dominanti, funzionando da frangivento “viventi”.
Sistema di semina su sodo (no-till): adottato correttamente, può tagliare l’erosione fino al 95%. La permanenza della pacciamatura preserva gli aggregati, protegge lo strato superficiale e migliora infiltrazione e bilancio idrico, con benefici anche su costi e tempistiche operative.
Fertilizzanti organo-minerali e sostanza organica: migliorano proprietà fisiche (infiltrazione e ritenzione), chimiche (aggregazione, CEC) e biologiche. In suoli sabbiosi abbassano la densità apparente e riducono il rischio di perdita per ruscellamento; al contrario, l’eccesso di sali minerali senza apporto organico può incrementare disgregazione e deumificazione.
Terrazzamenti e sistemazioni idraulico-agrarie: i terrazzamenti su pendii accorciano la lunghezza di scorrimento e trattengono acqua e sedimenti. Associati a canali di guardia e drenaggi ben dimensionati riducono l’energia erosiva e proteggono le lavorazioni.
Fasce tampone e boschi ripariali: conservare e ripristinare vegetazione lungo corsi d’acqua stabilizza sponde e filtra sedimenti e nutrienti. Sono una misura-chiave per qualità dell’acqua e continuità ecologica in paesaggi agricoli.
Evitare il disboscamento e creare barriere al vento: la rimozione di coperture native aumenta fortemente l’erosione; dove necessario, intervenire con rimboschimenti o siepi e barriere (vivi o infrastrutturali) per rompere la velocità del vento.
Drenaggi e irrigazione di precisione: assenza o cattiva gestione delle acque porta a ruscellamenti concentrati e erosione in solchi. Convogliare efficacemente la pioggia e calibrare l’irrigazione riduce i picchi di flusso e preserva la struttura del suolo.
Rotazioni colturali e pianificazione: alternare colture con apparati radicali e architetture differenti aumenta la copertura, spezza cicli di malerbe e parassiti e rinforza struttura e sostanza organica. Rotazioni con prati o leguminose proteggono i pendii più critici.
Monitoraggio e tecnologie digitali: telerilevamento, indici di vegetazione e mappe di produttività pluriennali aiutano a riconoscere aree a calo di vigoria dove l’erosione può essere la causa. Con zonazione e distribuzione a dose variabile (VRA) di fertilizzanti si riducono sprechi, lisciviazione e impatti sui corpi idrici.
Evidenze in campo: cosa mostrano prove ed esempi
Esperimenti didattici semplici mostrano che, a parità di pioggia, un suolo nudo erode più di un suolo coperto da residui, e quest’ultimo erode più di un prato vivo: l’effetto combinato di copertura e radici attive attenua splash, rallenta il deflusso e aumenta l’infiltrazione.
Nelle regioni aride e semiaride, il vento è un grande scultore: dune che nascono, migrano e si trasformano sono il risultato di sollevamento, trasporto e deposizione nel tempo. Questo esempio di erosione eolica spiega bene come il paesaggio sia in continua ridefinizione sotto l’azione degli agenti esogeni.
Nelle fasce collinari agricole, lavorazioni lungo massima pendenza e scarsa gestione delle acque piovane modificano i percorsi di ruscellamento e concentrano flussi che scavano il terreno. Pianificare in contorno, inserire interruzioni trasversali e drenaggi e mantenere coperture sufficienti riduce incisioni e protegge le infrastrutture rurali.
Dati globali e di settore mettono in chiaro l’urgenza: con metà dei suoli arabili degradati e l’80% delle terre coltivabili esposte a erosione, la sfida riguarda produttività, qualità dell’acqua, biodiversità e resilienza climatica. Investire in pratiche conservative e in gestione su misura per sito è oggi tra le azioni più efficaci e più rapide da mettere a terra.
Integrare coperture >30%, semina su sodo ben eseguita (con riduzioni dell’erosione fino al 95%), fasce tampone, sistemazioni su pendii e irrigazione-drenaggio calibrati è una strategia concreta che unisce agronomia, idraulica di campo e tutela ambientale. Con supporto di monitoraggio satellitare e distribuzioni a dosi variabili, è possibile ottimizzare input, tagliare costi e diminuire i carichi di sedimenti e nutrienti verso fiumi e laghi.
Guardando il quadro nella sua interezza, l’erosione del suolo è insieme fenomeno naturale e problema gestionale: non possiamo evitarla ovunque, ma possiamo ridurne l’intensità dove viviamo e coltiviamo. Dalla parcella al bacino idrografico, copertura, struttura, acqua e pianificazione sono le leve da muovere per trattenere il suolo in campo e far funzionare gli ecosistemi come alleati, non come avversari.


