Come sono propulsi i razzi nello spazio? Spiegazione completa

Última actualización: novembro 19, 2025
  • I razzi generano spinta espellendo gas ad alta velocità secondo la terza legge di Newton, funzionando anche nel vuoto grazie alla pressione interna.
  • Propellenti solidi, liquidi e ibridi hanno pro e contro distinti; spinta e impulso specifico dipendono da flusso di massa e velocità del getto.
  • Stadi multipli, ugelli ottimizzati e siti equatoriali migliorano l’efficienza; il controllo avviene con sistemi inerziali e supporto da Terra.
  • Oltre ai razzi chimici, esistono concetti come motori nucleari termici, scramjet e vele solari per future applicazioni.

Razzi nello spazio

Ti sei mai chiesto come facciano i razzi a muoversi nel vuoto, dove non c’è aria da “spingere”? L’idea che serva un fluido esterno per avanzare è un mito duro a morire: in realtà, i razzi funzionano grazie alla legge di azione e reazione e alla conservazione della quantità di moto, espellendo gas ad alta velocità in una direzione per muoversi nella direzione opposta.

In queste righe troverai una panoramica completa, in tono chiaro e senza giri di parole, su che cos’è un razzo, su come produce spinta nel vuoto, quali combustibili utilizza, come sono organizzati i suoi stadi, come avviene il controllo di rotta e quali tecnologie avanzate esistono o sono allo studio. Dalla storia antica fino ai motori moderni e ai concetti di domani, metteremo ordine a tutto ciò che conta.

Cos’è un razzo spaziale e perché non ha bisogno dell’aria

Un razzo è, in sostanza, una macchina che si muove espellendo un flusso di gas ad altissima velocità dal proprio ugello. Secondo la conservazione della quantità di moto, il getto di massa verso un lato genera una reazione uguale e contraria che accelera il veicolo.

Nei razzi chimici – la categoria usata in tutti i voli spaziali finora – l’energia viene da una reazione di combustione fra un combustibile e un ossidante. Poiché nello spazio non c’è ossigeno, il razzo trasporta l’ossidante nei propri serbatoi, insieme al combustibile: per questo non dipende dall’atmosfera per funzionare.

La miscela caldissima di prodotti della combustione si espande e viene accelerata da un ugello convergente-divergente detto ugello di Laval (detto anche a campana). La sua forma è studiata per dirigere l’energia dei gas verso il retro, così da massimizzare la spinta in avanti del razzo.

Un dettaglio fondamentale spesso frainteso: la spinta nasce dalle forze di pressione interne alla camera di combustione. Anche quando la pressione esterna è nulla (vuoto), all’interno c’è pressione elevata che preme su ogni parete; dove manca la parete – cioè in corrispondenza dell’ugello – non c’è una forza uguale e contraria, perciò il risultato netto è una forza propulsiva sul corpo del razzo.

Per chi ama gli esperimenti didattici, esistono anche razzi “leggeri” come i razzi d’acqua con bottiglia PET: si pressurizza aria e acqua, e il getto che esce dal collo della bottiglia produce spinta. Il principio è identico: espulsione di massa e reazione nella direzione opposta.

Un po’ di storia: dalla polvere da sparo alla corsa allo spazio

Le origini della tecnologia a razzo sono orientali: già nel 1232 in Cina si usavano tubi riempiti di polvere da sparo come fuochi d’artificio e, più tardi, come armi. Si racconta di “frecce di fuoco volanti” impiegate nel XIII secolo nella difesa della provincia di Henan.

Gli arabi portarono i razzi in Europa, dove tornarono a comparire in vari conflitti successivi alla Guerra dei Cent’Anni. Tra XV e XVI secolo furono impiegati come armi incendiarie; poi declinarono, per riemergere nell’Ottocento, fino all’uso nelle Guerre napoleoniche.

Nell’Ottocento e nel primo Novecento compaiono i pionieri della missilistica come Konstantin Tsiolkovskij, Hermann Oberth e Robert H. Goddard. I razzi di Goddard, pur piccoli, già integravano principi moderni, inclusi i giroscopi per la guida.

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Durante la Seconda guerra mondiale il gruppo tedesco guidato da Wernher von Braun sviluppò i V-1 e V-2 (il V-2 era un vero razzo, il V-1 un ordigno a reazione). Nel dopoguerra, Stati Uniti e Unione Sovietica derivarono i loro programmi da queste basi: i sovietici usarono un’evoluzione del missile balistico R-7 per lanciare lo Sputnik.

Negli USA si susseguirono famiglie come Astrobee, Vanguard, Redstone, Atlas, Agena, Thor-Agena, Atlas-Centaur, Delta, Titan e la serie Saturn (col maestoso Saturn V), mentre in URSS si affermò la famiglia Proton (serie A, B, C, D e G). Europa e altri Paesi contribuirono con programmi propri, come l’ESA con i razzi Ariane.

La fisica della propulsione: azione–reazione, spinta e impulso

La terza legge di Newton recita che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Nel razzo, l’azione è l’espulsione di gas; la reazione è la spinta che accelera il veicolo. Non serve “spingere sull’aria”: anzi, l’atmosfera esterna può introdurre resistenza (drag) e ridurre l’efficienza.

Un’analogia efficace è il pattinatore: se su pattini lanci una pietra all’indietro, ti muovi in avanti. Se avessi una pistola o una mitragliatrice, ogni proiettile sparato ti darebbe un “colpo” in direzione opposta. Allo stesso modo, i gas espulsi dal razzo sono la “massa lanciata” che genera reazione. L’atmosfera non è necessaria a questo meccanismo.

Dal punto di vista quantitativo, la spinta dipende dal flusso di massa espulso e dalla sua velocità: più massa per secondo e più alta è la velocità dei gas, maggiore è la forza. Si misura la qualità del propellente e del sistema in termini di impulso specifico, che indica quanta spinta si ottiene per unità di massa di propellente per secondo.

I numeri sono impressionanti: il Saturn V, che portò gli astronauti dell’Apollo verso la Luna, sviluppava circa 34,5 milioni di newton di spinta, scalando oltre 100 chilometri in pochi minuti. Riducendosi la massa durante il volo (per via del propellente consumato), l’accelerazione può aumentare a parità di spinta.

Le temperature nella camera di combustione sono estreme; per proteggere struttura e ugello si utilizzano tecniche di raffreddamento, fra cui il “film cooling” (un velo di propellente che scorre lungo le pareti) o circuiti rigenerativi. Senza queste soluzioni, i componenti fonderebbero in pochi istanti.

La spinta risente della pressione esterna: a bassa quota, l’alta pressione atmosferica all’uscita dell’ugello riduce l’efficacia dell’espansione; in quota e nel vuoto, il getto può espandersi di più e la spinta cresce. Per questo alcuni motori hanno ugelli ottimizzati per altitudine.

Combustibili e propellenti: solidi, liquidi e ibridi

Nei razzi solidi combustibile e ossidante sono mescolati e pressati in un “grano” che brucia dall’interno. Sono sistemi densi, relativamente economici e semplici da stoccare, ma il controllo della spinta è limitato. Esistono composizioni omogenee e composte, con basi di nitrocellulosa e combinazioni come nitrocellulosa–nitroglicerina.

Nei razzi liquidi, combustibile e ossidante sono in serbatoi separati e vengono pompati e miscelati nella camera di combustione solo al momento dell’accensione. Ciò consente un controllo fine della spinta, spegnimenti e riaccensioni. Esempi noti sono idrazina (o derivati) e idrogeno liquido, spesso accoppiato con ossigeno liquido.

I sistemi ibridi combinano un componente solido e uno liquido (o gassoso), cercando di fondere i vantaggi di entrambe le famiglie: maggiore sicurezza e possibilità di dosare il flusso liquido. Sono oggetto di test e sviluppo in diversi Paesi.

Esistono idee più speculative e non ancora pratiche, come i razzi a fusione o ad antimateria. Le promesse in termini di prestazioni sono enormi, ma la tecnologia necessaria non è matura per l’impiego operativo.

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Stadi e architettura del lancio

I razzi moderni sono spesso “a più stadi”: sezioni con propri motori e serbatoi che si accendono in sequenza e vengono scartate quando esaurite, riducendo la massa e aumentando l’efficienza. Esistono configurazioni in serie e in parallelo (booster affiancati al corpo centrale).

Il primo stadio è quello più potente e robusto: deve superare la gravità con la massima massa e affrontare le forze aerodinamiche più intense. Il secondo stadio opera ad altitudini più elevate, in aria rarefatta, e può essere più leggero e ottimizzato per il vuoto. Le carenature che proteggono il carico vengono rilasciate quando non sono più necessarie.

Per ridurre costi e rifiuti spaziali si sperimenta e adotta il riuso: aziende come SpaceX hanno dimostrato l’atterraggio autonomo dei booster su piattaforme, recuperando sezioni che prima si perdevano. Tradizionalmente, gli stadi venivano fatti rientrare per cadere in zone oceaniche sicure.

La posizione del sito di lancio conta: vicino all’Equatore la Terra ruota a circa 1600 km/h, e questa velocità si somma a quella del razzo per orbite prograde, offrendo un “bonus” energetico. Esistono però anche lanci verso orbite polari, utili per osservazione e mappatura, che non beneficiano di questo aiuto.

In missioni impegnative si cita spesso la velocità di fuga dalla Terra: circa 11,2 km/s. Non è necessario raggiungerla istantaneamente, ma rappresenta la velocità che un corpo dovrebbe avere per lasciare il campo gravitazionale senza ulteriore spinta. Stadi multipli e traiettorie mirate consentono di ottenere le velocità richieste per orbite e trasferimenti interplanetari.

Motori alternativi e prospettive

Oltre ai razzi chimici, sono stati studiati motori nucleari termici: un reattore riscalda un gas a temperature elevatissime, che poi si espande nell’ugello come nei razzi convenzionali. Offrono efficienze superiori (maggiore velocità del getto), ma comportano problematiche di sicurezza, specie nell’atmosfera. Fuori dall’atmosfera il loro impiego sarebbe più accettabile.

Un’altra linea è quella dei motori a scramjet (combustione supersonica in presa d’aria), che richiedono aria atmosferica: non sono motori spaziali in senso stretto, ma potrebbero servire per la prima parte del volo. La NASA ha testato nel 2004 l’X‑43A: portato da un B‑52 a circa 12.000 m e rilasciato tramite un razzo Pegasus fino a circa 33.000 m, raggiunse ~11.000 km/h in volo ipersonico. Il principio è privo di parti mobili, sfruttando la compressione dovuta alla velocità del veicolo.

Tra le proposte note ci sono anche concetti come le vele solari, che usano la pressione della radiazione o il vento solare per generare accelerazioni minime ma continue. Anche la propulsione nucleare in varie forme rimane una pista di grande interesse per tragitti interplanetari.

Guida, controllo e traiettorie

La rotta di un razzo e di una navicella non si basa su “piattaforme di lancio nello spazio”, ma su motori di manovra e sistemi di guida. I veicoli dispongono di sensori e piattaforme inerziali (giroscopi) e possono ricevere controllo da Terra: il tracciamento può avvenire con laser (precisione nell’ordine di centimetri) o con radar e radio (precisioni dell’ordine dei metri).

La fase di spinta serve a conferire la velocità orbitale o di trasferimento; poi, a motori spenti, il moto prosegue secondo le forze gravitazionali dei corpi celesti: non si viaggia “in linea retta a velocità costante”, perché la gravità curva le traiettorie. Non a caso, durante l’Apollo 13 si disse con ironia che “abbiamo messo Isaac Newton ai comandi”.

Durante il rientro o i rendez‑vous si impiegano accensioni mirate dei propulsori, sfruttando piccole variazioni di velocità (delta‑v) per correggere orbite e assetti. La precisione deriva dalla qualità dei sensori e dalla capacità di pianificare i punti di accensione lungo la traiettoria.

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Domande comuni: combustione senza ossigeno esterno? E il vuoto?

La combustione nei razzi avviene perché il veicolo porta il proprio ossidante: non serve aria esterna. Lo stesso vale per altri dispositivi: anche un’arma da fuoco può sparare in assenza di ossigeno ambientale, poiché la cartuccia contiene agenti ossidanti. Non c’è nulla di “misterioso”: è chimica in un sistema chiuso.

Perché nel vuoto la spinta c’è lo stesso? Dentro la camera, la pressione spinge su tutte le pareti; dove c’è l’ugello, manca la parete e quindi la spinta non è bilanciata, risultando in una forza netta sul razzo. Esperimenti in camere a vuoto mostrano che motori a gas pressurizzato o piccoli propulsori funzionano senza problemi anche in assenza di aria.

Va ribadito che l’atmosfera non “aiuta” un razzo in senso propulsivo; può servire a scramjet e turbine, che infatti sono motori aeronautici e non spaziali. Un razzo, invece, si porta tutto il necessario per generare spinta ovunque, dal livello del mare all’orbita cislunare.

Dove si lanciano i razzi e cosa succede ai loro stadi

Nel mondo ci sono decine di cosmodromi e basi di lancio, molti nel Nord del pianeta e lungo la fascia equatoriale. La scelta dipende da obiettivi di orbita, sicurezza e logistica. Vicino all’Equatore si massimizza il contributo della rotazione terrestre per le orbite prograde.

Gli stadi esauriti possono essere smaltiti con rientri controllati in mare aperto o, quando tecnicamente fattibile, recuperati e riutilizzati con atterraggi verticali su chiatte o piazzole. Le carenature sono progettate per resistere e talvolta essere recuperate. Il riuso riduce drasticamente i costi di accesso all’orbita.

Esempi di famiglie di razzi e contributi nazionali

Oltre ai già citati Saturn e Proton, tra i contributi storici troviamo i sistemi Atlas, Titan, Delta negli USA e l’Ariane in Europa, mentre vari Paesi (Francia, Regno Unito, Cina, Giappone, India, Brasile) hanno sviluppato propri programmi. Molte di queste famiglie includono versioni multi‑stadio e combinazioni di booster per adattarsi a carichi e orbite differenti.

Nel campo degli esperimenti e delle sonde, sono stati impiegati razzi come Astrobee, Vanguard, Redstone e accoppiate come Thor‑Agena. Ogni configurazione rappresenta un compromesso tra spinta, massa, affidabilità e profilo di missione (orbite basse, geostazionarie, traiettorie interplanetarie).

Dalla teoria all’esperienza: ciò che conta per “farcela”

Tre ingredienti fanno la differenza: una sorgente di energia ad alta densità (propellenti chimici o alternativi), un motore e un ugello efficienti nel convertire energia in spinta direzionale, e un’architettura a stadi che scarta massa divenuta inutile. A questi si sommano guida, controllo e un profilo di lancio coerente con gli obiettivi.

Dal primo fuoco d’artificio all’era dei lanci commerciali riutilizzabili, l’idea alla base non è cambiata: la quantità di moto è conservata, e espellere massa ad alta velocità è il modo più diretto per accelerare un veicolo. La complessità è in tutto il resto: materiali, termica, dinamica del volo, logistica e sicurezza.

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I razzi si muovono nello spazio perché generano spinta espellendo gas a grande velocità, portando con sé tutto il necessario alla reazione chimica; non chiedono favori all’atmosfera, si avvantaggiano di architetture a stadi, ottimizzano l’ugello in base all’altitudine e si affidano a guida e gravità per disegnare la rotta. In questa combinazione di fisica elegante e ingegneria estrema sta il motivo per cui, dalla Cina medievale ai booster che rientrano in verticale, continuiamo a raggiungere l’orbita e oltre.