Che cos’è il riscaldamento globale: cause, impatti, soluzioni

Última actualización: novembro 16, 2025
  • Cause antropiche: combustibili fossili, deforestazione, agricoltura e industria aumentano i gas serra.
  • Impatti crescenti: eventi estremi, innalzamento del mare, perdita di biodiversità e rischi per salute e cibo.
  • Soluzioni note: rinnovabili, efficienza, stop alla deforestazione, città resilienti e finanza climatica.

illustrazione riscaldamento globale

Il riscaldamento globale è molto più di un’espressione ricorrente nei telegiornali: è il progressivo aumento anomalo della temperatura media del pianeta rispetto ai livelli preindustriali e una sfida ambientale, economica e sociale di prima grandezza. Oggi la Terra è già circa 1,1–1,36 °C più calda rispetto alla media di fine Ottocento (stime NASA e altre serie indipendenti), e gli ultimi dieci anni risultano i più caldi dell’intera serie strumentale.

Questo incremento è legato all’intensificazione dell’effetto serra dovuta all’accumulo antropico di gas climalteranti (CO2, CH4, N2O, O3 e altri). L’energia solare raggiunge la superficie e la riscalda; parte del calore che la Terra riemette viene trattenuta in atmosfera. Senza l’effetto serra naturale il pianeta sarebbe circa 30 °C più freddo e poco ospitale. Il problema, però, è che la concentrazione di questi gas è aumentata rapidamente da metà XIX secolo per via di combustibili fossili, deforestazione, allevamenti intensivi, industria, rifiuti e cattivo uso del suolo.

Che cos’è il riscaldamento globale

Con questa espressione si indica l’aumento a lungo termine delle temperature medie di aria e oceani. La maggior parte del riscaldamento si registra dalla seconda metà degli anni ’70, con una chiara tendenza ascendente e fluttuazioni naturali sovrapposte. Le evidenze sono molteplici: termometri a terra e mare, satelliti, ghiacci e ghiacciai in ritirata, datazioni paleoclimatiche, livellazioni mareografiche e indicatori biologici.

Per la gravità del fenomeno, nel 2023 il Segretario generale dell’ONU ha parlato di “ebollizione globale”, a sottolineare l’accelerazione degli impatti climatici. Non è retorica: con il riscaldamento aumentano ondate di calore, periodi di siccità e precipitazioni estreme, e cambiano cicli e stagioni con effetti sinergici su ecosistemi e società.

Dal pensiero scientifico al consenso

La scienza del clima ha radici nell’Ottocento: Fourier intuì l’effetto serra, Tyndall misurò l’assorbimento infrarosso di vari gas, Arrhenius stimò il legame CO2-temperatura. Nel 1938 Callendar evidenziò un riscaldamento già in atto, e negli anni ’80 Hansen (NASA) presentò proiezioni poi sostanzialmente confermate. Oggi l’IPCC, che sintetizza migliaia di studi, conclude con altissimo livello di confidenza che il riscaldamento è inequivocabile e causato in larga parte dall’uomo.

Nonostante campagne di disinformazione e il cosiddetto “falso equilibrio” mediatico, la letteratura sottoposta a peer review mostra un consenso scientifico pressoché totale sull’origine antropica del riscaldamento recente. Restano incertezze su dettagli regionali e sensibilità climatica precisa, ma non sulla direzione del cambiamento e sulle cause principali.

Effetto serra e riscaldamento: differenze e intrecci

L’effetto serra è un meccanismo naturale: l’atmosfera trattiene parte del calore emesso dalla superficie, moderando gli estremi. Il riscaldamento globale è invece l’aumento della temperatura media per intensificazione antropica dell’effetto serra. Vapore acqueo e CO2 sono i principali contributori totali; metano e N2O hanno minori concentrazioni ma un potere climalterante molto elevato. In parallelo, gli aerosol solfati hanno esercitato un effetto raffreddante a metà Novecento, parzialmente compensando l’aumento di gas serra, senza però invertirne la tendenza.

Da ricordare anche la dinamica dell’ozono: la perdita nella stratosfera (problema in parte distinto, dovuto a CFC) ha modificato circolazioni e venti, mentre a basse quote l’ozono è un inquinante e un gas serra. Tutti questi fattori si combinano con feedback come albedo dei ghiacci e vapore acqueo, che amplificano il riscaldamento.

Cause antropiche e settori emissivi

Le cause principali sono note: combustibili fossili (carbone, petrolio, gas) in energia elettrica, calore, trasporti e industria; deforestazione e cambi d’uso del suolo; agricoltura e allevamenti intensivi (metano e N2O); processi industriali e gestione rifiuti. Intorno al 2010, i contributi globali stimati erano circa 25% settore energia elettrica/calore, 21% industria, 24% agricoltura-foreste-uso del suolo, 14% trasporti e 6% edifici, con quote residue da altre sorgenti.

Dal lato dei gas: CO2 è il principale driver antropico; CH4 è oltre 20 volte più potente del CO2 su 100 anni ed è aumentato oltre i 1.800 ppb rispetto ai ~722 ppb preindustriali; N2O supera 330 ppb (da ~270 ppb preindustriali). La CO2 è passata da ~280 ppm a oltre 410–420 ppm in anni recenti, con nuovi record annui, mentre una parte è stata assorbita da oceani e biosfera, provocando acidificazione marina.

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Come avviene l’aumento delle temperature

Tecnicamente, parliamo di forzante radiativa positiva: più gas serra in atmosfera significano maggiore intrappolamento dell’infrarosso terrestre. La risposta del sistema dipende dalla sensibilità climatica (quanto aumenta la temperatura se raddoppia la CO2). Le stime aggiornate la collocano tipicamente tra ~2,5 e 4 °C per raddoppio, con code di incertezza. Inoltre, a causa dell’inerzia termica degli oceani, il sistema impiega decenni a manifestare l’intero riscaldamento dovuto ai gas già emessi.

Il vapore acqueo agisce come un feedback: aria più calda trattiene più umidità e questo, a sua volta, rafforza l’effetto serra. Sulla nuvolosità, il segno netto globale è complesso e dipende da quota, tipo di nube e aerosol; in media si ritiene che non annulli la tendenza al riscaldamento.

Evidenze osservative

Le prove sono robuste e convergenti: aumento della temperatura superficiale su terre e oceani; maggior contenuto di calore oceanico; ritiro di ghiacciai e copertura nevosa; diminuzione del ghiaccio marino artico; anticipo di fioriture e migrazioni; livello del mare in aumento. Le decadi recenti sono più calde delle precedenti, e la composizione isotopica del carbonio atmosferico indica chiaramente origine fossile di gran parte della CO2 in eccesso.

Tra il 1901 e il 2010, il livello medio del mare è salito di circa 19 cm, con accelerazione a ~3,2 mm/anno dagli anni ’90. Le proiezioni IPCC indicano +26–98 cm entro il 2100 (a seconda degli scenari), e l’innalzamento proseguirà nei secoli successivi per l’inerzia oceanica e il lento ribilanciamento delle calotte glaciali.

Impatti su clima ed eventi estremi

Un’atmosfera più calda e umida alimenta ondate di calore più intense e frequenti, piogge più abbondanti in episodi brevi, alluvioni e frane e, in molte aree, periodi di siccità più duraturi. Fenomeni come El Niño e La Niña risultano modulati in un contesto di oceani più caldi, con effetti a catena su precipitazioni e temperature a scala globale.

Le città sono particolarmente vulnerabili: alte densità, infrastrutture critiche, effetto “isola di calore” e reti interdipendenti (energia, trasporti, acqua, sanità). Collassi a cascata durante eventi estremi possono estendersi su vaste aree metropolitane e territori circostanti.

Oceani: riscaldamento, acidificazione, deossigenazione

Gli oceani assorbono circa il 90% dell’extra calore, rallentando il riscaldamento dell’aria ma provocando espansione termica e contribuendo all’innalzamento del mare. Inoltre, assorbendo CO2, la superficie oceanica è oggi circa 26% più acida rispetto all’era preindustriale, danneggiando coralli, molluschi e molte forme di plancton calcificante.

Si osservano anche riduzioni di ossigeno disciolto e cambiamenti nella circolazione termoalina. Alcuni studi mostrano segnali di indebolimento di componenti della Circolazione dell’Atlantico con implicazioni su clima regionale, livello del mare costiero e attività dei cicloni tropicali.

Ghiacci, Artico, Antartide e permafrost

L’Artico si riscalda a una velocità doppia (o più) della media globale, con drastico ritiro del ghiaccio marino estivo e impatti su ecosistemi, coste e popolazioni locali. Nella Groenlandia la fusione superficiale estiva è più estesa e la perdita di massa accelera; parti dell’Antartide occidentale mostrano segni di instabilità. Se la Groenlandia fondesse completamente, il mare salirebbe di ~7 metri (processo di secoli, ma ogni incremento accelera i rischi).

Il permafrost custodisce 1.400–1.850 Gt di carbonio: il suo disgelo libera CO2 e CH4, potenziando il riscaldamento. In regioni artiche e subartiche si moltiplicano impatti infrastrutturali (strade, oleodotti, edifici) e i mega-incendi boreali aumentano emissioni e degradazione del suolo.

Livello del mare: rischi e adattamento

L’aumento del mare minaccia città costiere, delta e piccoli Stati insulari. Oltre agli allagamenti, si hanno intrusione salina negli acquiferi, erosione, danni a infrastrutture e patrimonio culturale. Dighe, barriere mobili, rinaturalizzazione costiere e arretramento strategico sono misure possibili, ma hanno costi elevati e limiti fisici e sociali. In molti casi, pianificare per tempo una ritirata ordinata è più sostenibile nel lungo periodo.

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Biodiversità, suoli e servizi ecosistemici

Gli ecosistemi stanno già cambiando: fasce climatiche si spostano verso poli e quote più elevate, con migrazioni forzate di specie, disallineamento fenologico e perdita di habitat. Studi indicano che, con riscaldamenti elevati, il rischio di estinzioni cresce drasticamente (fino a quote molto alte per aumenti superiori a ~3,5 °C). Le barriere coralline sono tra i sistemi più vulnerabili e possono collassare già verso +2 °CI cambiamenti della biodiversità negli ultimi 50 anni mostrano tendenze coerenti con questi rischi.

Suoli più caldi e più secchi degradano cicli di carbonio e nutrienti, aumentano la desertificazione in regioni subtropicali e in diverse regioni biogeografiche del mondo e riducono la produttività vegetale in molte aree, specie sotto stress idrico prolungato.

Salute fisica e mentale

Il caldo estremo aumenta mortalità e morbilità (colpi di calore, stress cardiovascolare, peggioramento respiratorio). L’onda di calore europea del 2003 causò oltre 70.000 decessi; episodi successivi hanno confermato la pericolosità. Cambiano le aree a rischio per malattie trasmesse da vettori (come dengue o malaria) e peggiora la qualità dell’aria per ozono e particolato.

Non vanno sottovalutati gli impatti su salute mentale: ansia climatica, depressione post-disastro, stress cronico e aumento del rischio di comportamenti suicidari in contesti estremi. Le ondate di calore riducono anche capacità lavorativa e produttività in attività all’aperto, con forti ripercussioni economiche nei tropici.

Agricoltura, acqua e cibo

La combinazione di stress termico, idrico e biologico (parassiti, patogeni) riduce rese e qualità di molte colture, mentre la variabilità delle piogge influisce su irrigazione e disponibilità idrica. Anche la pesca è esposta: spostamenti di stock, acidificazione e deossigenazione diminuiscono la resilienza degli ecosistemi marini, con potenziali impatti sulla sicurezza alimentare globale.

Alcune colture potrebbero beneficiare localmente di stagioni più lunghe o CO2 elevata, ma spesso il vantaggio è annullato da calore, siccità e nutrienti limitanti. Le regioni più povere e calde sono le più vulnerabili.

Patrimonio culturale e migrazioni

Eventi estremi, innalzamento del mare e degrado ambientale danneggiano siti storici, musei e paesaggi culturali. Alluvioni e tempeste colpiscono aree costiere densamente popolate, accelerando migrazioni interne e transfrontaliere. Le tensioni sociali legate a risorse scarse possono amplificare conflitti preesistenti.

Modelli climatici, scenari e sensibilità

I modelli numerici non “decidono” che il clima si scalderà: applicano le leggi fisiche per vedere come il sistema risponde a forzanti (gas serra, aerosol, uso del suolo, vulcani, Sole). Sono stati validati riproducendo andamenti passati e, pur con limiti su dettagli regionali e alcuni processi complessi (nuvole, ghiaccio marino), offrono proiezioni affidabili su scala globale.

Gli scenari esplorano futuri con differenti emissioni. Mantenendo trend elevati, le proiezioni puntano verso +3–4 °C e oltre entro fine secolo; per restare attorno a +1,5 °C servirebbero tagli rapidi e profondi (−45% entro il 2030 rispetto al 2010) e neutralità climatica intorno al 2050. La finestra temporale è stretta.

Obiezioni comuni e perché non reggono

  • “È il Sole”: dal 1980 circa, la irradianza solare non mostra trend di aumento compatibile con il riscaldamento osservato; lo spettro del calore intrappolato corrisponde ai gas serra.
  • “Non c’è consenso”: analisi di migliaia di studi indicano un consenso quasi unanime sull’origine antropica del riscaldamento attuale.
  • “Si sta raffreddando”: le ultime decadi sono le più calde; fluttuazioni a breve non smentiscono la tendenza.
  • “I modelli sbagliano”: gli errori esistono, ma i modelli riproducono bene le tendenze globali e vengono costantemente migliorati.
  • “La natura si adatterà”: la velocità del cambiamento supera molte capacità di adattamento; per specie e sistemi umani già stressati, l’impatto è severo.
  • “L’Antartide guadagna ghiaccio”: alcune aree e alcune stagioni possono mostrare incrementi di area, ma il bilancio di massa indica perdite nette e contributo al livello del mare.

Chi emette di più e chi soffre maggiormente

Le emissioni storiche e attuali sono dominate da grandi economie: Cina, Stati Uniti, Unione Europea, India, Russia e altri Paesi industrializzati ed emergenti. In termini pro capite e storici, i Paesi ricchi hanno contribuito in modo sproporzionato all’accumulo. A soffrire di più, però, sono spesso i Paesi vulnerabili: piccoli Stati insulari, delta densamente popolati (es. Gange-Brahmaputra), regioni aride del Sahel, aree montane e l’Artico.

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Il Brasile rientra tra i grandi emettitori soprattutto per deforestazione e agrozootecnia (metano degli allevamenti). Negli ultimi anni, eventi estremi (ondate di caldo diffuse e piogge eccezionali) hanno evidenziato la necessità di rafforzare politiche di adattamento e riduzione delle pressioni su Amazzonia e Cerrado.

Politiche e accordi: da Kyoto a Parigi

Nel 1997, alla COP3, fu adottato il Protocollo di Kyoto, primo trattato con obiettivi vincolanti per alcuni Paesi industrializzati. Col tempo si è puntato a un quadro globale culminato nel 2015 con l’Accordo di Parigi: impegno a mantenere l’aumento “ben al di sotto di 2 °C” e, se possibile, attorno a 1,5 °C, con contributi nazionali, revisioni periodiche e finanza climatica per i Paesi in via di sviluppo.

Strumenti come carbon pricing (tasse o scambio emissioni), standard di efficienza, REDD+ (riduzione emissioni da deforestazione), fondi verdi, trasferimenti tecnologici e piani di adattamento sono parte della cassetta degli attrezzi. L’efficacia dipende da governance, trasparenza e ambizione reale degli obiettivi.

Mitigazione: tagliare emissioni e aumentare assorbimenti

Le leve principali includono la decarbonizzazione del sistema energetico (rinnovabili, efficienza, reti e accumuli), elettrificazione dei consumi finali, riduzione delle perdite e dell’intensità energetica. Solar e wind sono maturi e competitivi; l’idroelettrico va valutato attentamente per impatti locali e emissioni dei bacini tropicali; la fissione nucleare divide per costi, tempi e rischi, e richiede solide garanzie di sicurezza e gestione rifiuti.

Nel settore agro-forestale: stop alla deforestazione, riforestazione e gestione sostenibile dei suoli, riduzione degli sprechi alimentari e pratiche agricole a basse emissioni. In industria: processi innovativi, circolarità dei materiali e cattura e stoccaggio del carbonio là dove efficace e sostenibile. Le soluzioni nature-based (foreste, zone umide, ripristino costiero) offrono co-benefici per biodiversità e resilienza.

Adattamento: convivere con gli impatti già in corso

Serve potenziare infrastrutture idriche e verdi, difese costiere, standard edilizi, piani di emergenza, sorveglianza sanitaria e protezione sociale. Le città devono ripensarsi con ombreggiamenti, ventilazione urbana, tetti verdi, materiali riflettenti e corridoi ecologici. La pianificazione territoriale deve integrare scenari climatici per evitare nuove vulnerabilità.

La geoingegneria (per esempio gestione della radiazione solare) è altamente incerta e rischiosa; la priorità resta ridurre le emissioni e rafforzare adattamento e resilienza.

Costi dell’azione e dell’inerzia

Gli investimenti in mitigazione e adattamento generano benefici netti: meno danni da disastri, salute migliore, innovazione, occupazione e competitività. Al contrario, l’inerzia fa salire rapidamente i costi e chiude finestre di opportunità. Vari rapporti stimano che il costo del “non agire” possa erodere punti di PIL globale ogni anno e aggravare povertà e disuguaglianze.

È cruciale la cooperazione internazionale per finanziare transizioni e proteggere i più vulnerabili. Anche scelte culturali e demografiche (educazione, empowerment femminile, pianificazione familiare) incidono nel lungo periodo su domanda di risorse ed emissioni.

Come si misura la temperatura globale

Le serie combinano dati da migliaia di stazioni a terra e mare con correzioni per bias (isole di calore urbane, cambi strumentali) e includono misure satellitari (microonde) della troposfera. Metodi diversi convergono su un chiaro trend di riscaldamento con differenze minori nei dettagli. Il quadro è ulteriormente corroborato da molteplici indicatori indipendenti (ghiacci, mare, fenologia).

Alla scala regionale, la variabilità naturale può dominare nel breve termine, ma la tendenza globale riflette la forzante antropica. I modelli che includono solo cause naturali non riescono a riprodurre il riscaldamento osservato dagli anni ’50 in poi.

Temperature, oceani e ghiacci ci dicono che il sistema climatico sta cambiando rapidamente; le cause principali sono note e le soluzioni esistono. Agire ora significa ridurre rischi futuri, tutelare salute, cibo, acqua, ecosistemi e città e rafforzare un’economia più resiliente e competitiva. La finestra per centrare 1,5 °C non è chiusa per definizione, ma si restringe: ogni decennio di ritardo rende più ripidi i tagli necessari e più costosi gli impatti da gestire.

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