Qual è l’impatto della stampa sulla scienza? Prove e sfide

Última actualización: novembro 23, 2025
  • Le ricerche mostrano che l’anticipazione ai media si associa a più copertura e citazioni, ma la causalità non è dimostrata e servono criteri di selezione trasparenti.
  • L’embargo e servizi come Bori ed EurekAlert! aiutano giornalisti e riviste a coordinare una comunicazione accurata, riducendo coperture affrettate.
  • Rischi e bias esistono: il focus su poche riviste e il modello delle piattaforme richiedono strumenti, formazione e etica informativa.
  • Comunicazione pubblica come azione civica: evidenze accessibili, specializzazione giornalistica e dialogo con i ricercatori rafforzano fiducia e utilità sociale.

Impatto dei media sulla scienza

Comunicare la scienza non è un orpello, è parte dell’opera scientifica stessa: i metodi e i risultati devono circolare tra pari per avanzare la conoscenza, ma anche oltre i laboratori per incidere sulla società. Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione sul ruolo della stampa in questo flusso, con dati che suggeriscono benefici tangibili quando le ricerche vengono raccontate ai media in modo tempestivo e accurato.

Al di là della tradizionale comunicazione tra ricercatori, le azioni di coinvolgimento pubblico e le collaborazioni con giornalisti, uffici stampa e agenzie specializzate si sono rivelate decisive: studi condotti in Australia, Germania e Stati Uniti mostrano che la copertura mediatica anticipata o coordinata si associa a più download, più menzioni sui social e, talvolta, a più citazioni accademiche. Questi risultati, sebbene non provino di per sé una causalità, indicano che la stampa può amplificare la visibilità scientifica dentro e fuori l’accademia.

Perché i media contano per l’ecosistema scientifico

La scienza è anche un processo sociale: mettere in relazione comunità scientifica e pubblico attraverso la stampa contribuisce a inserire temi e prove nel dibattito collettivo. Questo raccordo non sostituisce la peer review, ma ne potenzia la risonanza, facendo arrivare la conoscenza dove prende forma l’opinione pubblica e, spesso, le politiche.

Accanto alle redazioni generaliste, sono cresciute realtà specializzate che selezionano e spiegano gli studi: agenzie come Bori in Brasile e il servizio EurekAlert! negli Stati Uniti anticipano in forma comprensibile i risultati a migliaia di giornalisti, offrendo contesto e materiale verificato per una copertura più attenta.

Questi canali convivono con le attività di uffici stampa di riviste e istituzioni di ricerca, che inviano comunicati o e-mail mirati ai media. L’obiettivo è duplice: aiutare i reporter a preparare servizi completi e garantire che la diffusione avvenga in tempi e modi coordinati con la pubblicazione scientifica.

La letteratura di settore sottolinea che tali pratiche, se ben progettate, possono favorire una rappresentazione più accurata dei risultati e una maggiore equità nella selezione delle ricerche da mettere in evidenza. Tuttavia, richiedono anche trasparenza nei criteri e attenzione ai possibili bias.

Cosa mostrano le ricerche sul legame tra stampa e impatto scientifico

Un’analisi condotta da ricercatori tedeschi ha valutato gli effetti delle comunicazioni sotto embargo inviate dalle riviste ai giornalisti. Esaminando 715 articoli di 78 periodici (prevalentemente nelle scienze della vita) segnalati tramite e-mail di embargo nel 2016–2017 e confrontandoli con articoli simili non raccomandati, gli autori hanno osservato, quattro anni dopo la pubblicazione, una differenza netta nella risonanza mediatica e scientifica.

I numeri parlano chiaro: su Twitter la media delle menzioni era di circa 114,8 per i paper evidenziati rispetto a 24 per il gruppo di controllo; nei media tradizionali la copertura ha raggiunto livelli fino a dieci volte superiori. Non si tratta solo di visibilità pop: anche nella letteratura accademica si è vista una distanza, con una media di 26,3 citazioni per gli articoli segnalati contro 14,6 per i non segnalati, come riportato su Scientometrics.

Questi risultati si affiancano a evidenze storiche. Già all’inizio degli anni Novanta, uno studio su articoli del New England Journal of Medicine citati dal New York Times suggeriva un incremento di citazioni del 70% per i lavori ripresi dalla stampa. Quando, durante uno sciopero, il quotidiano non fu distribuito pur essendo prodotto, il vantaggio scomparve, indicando il peso della diffusione presso il pubblico.

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Un’altra indagine sulla catena dei comunicati ha guardato al servizio EurekAlert!: la piattaforma gestita dall’American Association for the Advancement of Science distribuisce i press release di centinaia di testate a oltre 21.000 giornalisti ed è risultata tra le principali fonti tracciate da Altmetric.com per le menzioni non accademiche.

Resta aperta una questione cruciale: questa correlazione tra divulgazione mediatica e migliori metriche è davvero causale? Potrebbe essere che i giornalisti scelgano articoli che, per qualità intrinseca, sarebbero stati citati comunque, o che molti scienziati scoprano alcune ricerche proprio dai grandi giornali. La risposta definitiva richiede ulteriori studi.

Embargo editoriale, regola Ingelfinger e l’era dei preprint

L’embargo è una pratica centenaria: i media ricevono informazioni prima dell’uscita ufficiale, con l’impegno di pubblicare solo alla data concordata, così da predisporre servizi precisi e dare pari opportunità di copertura. Divenuto standard nella comunicazione delle riviste scientifiche negli anni Venti del Novecento, l’embargo si è intrecciato con le norme editoriali.

Negli anni Settanta si è affermata la cosiddetta “regola Ingelfinger”: le riviste non pubblicano contenuti già diffusi altrove. La norma, introdotta nel 1969 dall’allora editor del NEJM Franz J. Ingelfinger per tutelare l’originalità, è stata in parte ricalibrata nell’era dei preprint, oggi ampiamente accettati dalle riviste come versioni preliminari non sottoposte a peer review.

In questo quadro, gli e-mail di embargo svolgono una funzione organizzativa e informativa: segnalano i risultati più rilevanti per interesse scientifico, giornalistico e sociale e aiutano a gestire una pubblicazione sincronizzata, riducendo il rischio di fughe di notizie o coperture affrettate.

Chi viola l’embargo può incorrere in sanzioni, come la sospensione dall’accesso anticipato. Questo meccanismo incentiva prassi professionali più attente e consapevoli, ma richiede anche vigilanza per evitare disparità o arbitrarietà nella scelta di cosa mettere sotto i riflettori.

Un mare di articoli, poco tempo: selezione, bias e ruolo critico del giornalismo

Monitorare l’enorme produzione scientifica quotidiana è impossibile per qualunque redazione. Basti pensare che la base Scopus indicizza circa 5.500 testi al giorno, quasi quattro al minuto: è naturale che l’attenzione dei media si concentri su un piccolo nucleo di 8–10 riviste molto note, specie nelle scienze della vita.

Questa concentrazione, come segnalato da professionisti del giornalismo scientifico in Germania, può introdurre distorsioni nelle metriche accademiche se il “boost” di visibilità dipende più dall’eco mediatica che dal valore intrinseco. Il rischio aumenta quando i criteri di selezione non sono trasparenti o sono suscettibili a preferenze soggettive.

Tra le possibili contromisure emerse nel dibattito ci sono strumenti di triage automatizzato basati su criteri oggettivi e l’impiego di intermediari indipendenti nella scelta dei paper da promuovere, così da ridurre l’influenza dei singoli editor. Ai giornalisti, inoltre, è chiesto di allargare, quando possibile, la platea delle fonti e di mantenere uno sguardo critico su metodi, risultati e implicazioni.

Il giornalismo scientifico, in questo senso, non è megafono della comunità scientifica: serve prima di tutto il pubblico con informazioni verificate, contestualizzate e utili a decisioni individuali e collettive.

Il caso brasiliano: l’Agenzia Bori e una selezione con criteri dichiarati

In Brasile ha preso piede un modello originale con la nascita a San Paolo dell’Agenzia Bori, che seleziona studi con interesse giornalistico, prepara press release chiari e li invia in anticipo a un network di circa 2.000 giornalisti. Grazie ad accordi con la biblioteca SciELO (oltre 300 riviste ad accesso aperto) e con l’associazione nazionale degli editor (Abec Brasil), l’agenzia ha un canale stabile di accesso anticipato ai paper.

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La selezione è severa: si valutano circa 500 articoli a settimana e se ne diffonde appena l’1%. Cinque i criteri combinati: novità dei risultati; qualità e potenziale di interesse per i media; rilevanza pubblica e impatto sulla vita delle persone; diversità delle fonti (equilibrio di genere tra portavoce); ampiezza tematica e copertura delle diverse regioni del Paese.

Questo approccio ha generato dibattito anche con alcuni editor di riviste, talvolta in disaccordo con le scelte. Un caso emblematico ha visto un articolo selezionato dall’agenzia ottenere un’eco tra le più alte della sua storia, nonostante le perplessità su un altro paper ritenuto “più rilevante” dal punto di vista strettamente accademico.

Dal fronte degli editori emerge un punto chiave: valutare la rilevanza scientifica non coincide con stimare l’interesse giornalistico. È per questo che la collaborazione tra professionisti dell’informazione e ricercatori diventa complementare, ognuno con competenze diverse e necessarie.

Oltre i “grandi annunci”: tema e utilità prima del clamore

Dopo il picco di attenzione della pandemia, lo spazio per il giornalismo scientifico si è contratto nelle grandi emittenti e nei canali più popolari. La ricerca di “notizie straordinarie” (nuove molecole, terapie miracolose, scoperte lampo) spesso lascia indietro argomenti di grande utilità quotidiana.

Eppure, temi come l’indice glicemico degli alimenti o le basi della prevenzione potrebbero trovare posto in rubriche fisse, con linguaggio semplice e rigore nei dati. La presenza regolare di spazi dedicati alla scienza su TV generaliste e radio avrebbe un impatto diretto sulle scelte informate dei cittadini, influenzando comportamenti e salute pubblica.

La richiesta è concreta: creare appuntamenti stabili per la scienza, capaci di bilanciare il racconto dell’innovazione con la spiegazione di conoscenze consolidate ma decisive per la vita quotidiana.

Questa impostazione alleggerisce anche la pressione sul “nuovo a tutti i costi”, riducendo il rischio di sovra-promesse e di delusioni quando i risultati si rivelano preliminari o di applicabilità limitata.

Che cos’è il giornalismo scientifico (e cosa non è)

Nel panorama della comunicazione della scienza è utile distinguere: il giornalismo scientifico è una specializzazione del giornalismo, fatta di inchieste, verifica delle fonti e narrazione accessibile; la divulgazione popolare mira ad avvicinare il grande pubblico; la disseminazione accademica si rivolge agli specialisti, con articoli e report tecnici.

La professionalità conta: servono giornalisti formati sui metodi scientifici, capaci di evitare semplificazioni fuorvianti e di dialogare in modo efficace con gli scienziati senza rinunciare al ruolo critico.

Durante la pandemia si è visto un salto nella percezione del ruolo della scienza, e una ricerca di Datafolha ha rilevato alti livelli di fiducia nelle emittenti televisive (61%) e nei quotidiani (56%) come fonti per notizie su Covid-19, a fronte di un 12% di fiducia negli stessi contenuti veicolati su WhatsApp e Facebook.

La lezione è duplice: la velocità delle piattaforme non può sostituire il controllo qualità, e i cittadini cercano ancora media professionali quando il tema è complesso e cruciale. Questo non elimina le sfide, ma indica una strada.

Non mancano iniziative che esplorano formati e canali, come programmi radiofonici settimanali dedicati a scienza e tecnologia: l’obiettivo è offrire strumenti, non solo notizie, per interpretare i fenomeni scientifici che influenzano la vita quotidiana.

Strategie per comunità scientifica e riviste: la lezione di Eugene Garfield

Il fondatore dell’ISI, figura centrale nella storia delle metriche bibliografiche, ha offerto spunti ancora attuali su come rafforzare l’impatto della scienza. Nei Paesi emergenti invita a sommare forze, consolidando periodici e pubblicando anche in inglese per aumentare la visibilità internazionale e le citazioni.

Quanto agli indicatori, Garfield ha messo in guardia da letture superficiali: l’h-index è popolare ma non è una misura uniformemente valida; strumenti come il Journal Citation Reports restano di riferimento, mentre metriche come PRI e ASI, da lui proposte, cercano di comparare in modo più equo performance tra riviste e anni.

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Un punto che incrocia direttamente il nostro tema: molti articoli molto citati hanno avuto anche visibilità mediatica. Gli scienziati, come tutti, leggono i giornali e l’attenzione della stampa può favorire nuove ricerche in un’area, aumentando indirettamente le citazioni. Da qui l’invito ai ricercatori a impegnarsi nel comunicare al pubblico in modo responsabile.

Per i decisori, Garfield ricordava anche la relazione tra investimenti e produzione scientifica: alzare la quota di PIL destinata a ricerca e sviluppo è condizione necessaria per crescere non solo in quantità ma anche in qualità dell’impatto.

Disinformazione, reti sociali e comunicazione pubblica della scienza

Nel contesto attuale la disinformazione non è solo un problema tecnico: è un fenomeno politico e sociale che si innesta nella disordine informativo. In Brasile, il 73% delle persone cerca notizie su scienza, tecnologia, salute e ambiente sui social network, terreno fertile per contenuti fuorvianti.

Secondo analisi recenti sulla percezione pubblica, i cittadini sono consapevoli dell’infodemia ma, spesso inconsapevolmente, condividono contenuti errati. L’accettazione delle evidenze non dipende solo dai dati: contano anche cultura, valori morali e identità.

Serve quindi una comunicazione pubblica della scienza intesa come azione pubblica: evidenze accessibili, azionabili e trasparenti, in grado di orientare politiche e decisioni sociali. La “igiene informativa” diventa un’abitudine collettiva da costruire e mantenere.

Le piattaforme digitali hanno un modello d’affari centrato sull’attenzione: premiano contenuti che massimizzano l’ingaggio, anche a scapito dell’accuratezza. Di fronte a questa dinamica, giornalisti e comunicatori hanno il compito di ribilanciare con accuratezza, comprensibilità e etica informativa.

Dal lato istituzionale, si fa strada l’idea che la comunicazione sia una scienza in sé, e che vada nutrita con competenze, metodi e “tecnica consapevole al servizio dell’integrità”. Capire come le persone percepiscono la scienza – includendo aspetti come bias di conferma, familiarità dei termini o persino accenti regionali – aiuta a progettare messaggi efficaci e rispettosi.

Azioni concrete per massimizzare i benefici e ridurre le distorsioni

Alla luce delle evidenze e dei rischi, emerge una costellazione di buone pratiche per media, riviste e istituzioni. Molte sono già in uso, altre richiedono investimenti e coordinamento, tutte puntano a un ecosistema informativo più sano.

  • Trasparenza e criteri oggettivi: definire e pubblicare i criteri di selezione dei paper da promuovere (novità, qualità, impatto pubblico, diversità delle fonti e dei temi).
  • Intermediari e strumenti: sviluppare triage automatizzati e coinvolgere intermediari indipendenti per ridurre bias editoriali e favorire pluralismo.
  • Formazione e specializzazione: potenziare la formazione di giornalisti scientifici e creare spazi regolari sui media generalisti per contenuti di utilità (non solo “scoperte” eccezionali).
  • Etica dell’embargo: usare gli embarghi per qualità e completezza, non per marketing; sanzionare chi viola le regole e mantenere parità di accesso.
  • Dialogo continuo: incoraggiare i ricercatori a comunicare in modo responsabile e accessibile, preservando la precisione e accettando il confronto critico.
  • Metriche con giudizio: interpretare altmetrics e citazioni alla luce dell’eco mediatica, evitando di confondere popolarità e valore scientifico intrinseco.

Queste azioni, applicate in sinergia, possono rafforzare sia la qualità dell’informazione sia la fiducia nella scienza, riducendo l’impatto della disinformazione e migliorando il modo in cui i risultati scientifici entrano nella vita delle persone.

Il nodo non è scegliere tra visibilità e rigore, ma unirli: una comunicazione pubblica ben fatta amplia la portata sociale della scienza senza distorcerla, mentre una stampa competente e critica aiuta a distinguere tra risultati solidi e hype, accompagnando i cittadini nelle decisioni quotidiane e i decisori politici nelle scelte strutturali.

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