Endometriosi: riconoscimento precoce, diagnosi e cura

Última actualización: novembro 5, 2025
  • La diagnosi precoce richiede approccio integrato: clinica, ecografia/RM, Ca-125 selettivo e, se indicato, laparoscopia con biopsia.
  • I sintomi sono variabili e aspecifici; dolore pelvico, dismenorrea severa e infertilità devono far sospettare endometriosi.
  • Nessun marcatore è risolutivo; la ricerca su integrine e biomarcatori combinati è promettente ma non ancora clinica.
  • Trattamenti personalizzati (terapia ormonale, analgesici, chirurgia esperta) mirano a ridurre dolore, recidive e a preservare la fertilità.

diagnosi precoce endometriosi

La endometriosi è una patologia complessa e spesso sfuggente che può provocare dolore pelvico cronico e difficoltà riproduttive. Nonostante i progressi della ricerca, definire in modo univoco questa condizione non è semplice: oscilla tra un’idea istologica (tessuto simile all’endometrio al di fuori dell’utero) e una cornice clinica fatta di sintomi, segni e impatto sulla qualità di vita. Parlare di diagnosi precoce vuol dire trovare un equilibrio difficile: evitare che la malattia progredisca senza, però, scivolare nel sovradiagnostico e in trattamenti gravati da effetti collaterali e da un messaggio di “cronicità” che può pesare sulla paziente.

In pratica, non esiste ancora un singolo esame di riferimento universale che permetta di identificare con certezza tutte le forme di endometriosi, soprattutto quelle minime o iniziali. La sfida è duplice: da un lato, non lasciar correre una condizione che può diventare debilitante; dall’altro, non attribuire a endometriosi ogni dolore mestruale o pelvico, perché la clinica è variegata e talvolta asintomatica. Questo rende fondamentale una valutazione su più livelli: anamnesi accurata, visita, imaging selettivo, marcatori di laboratorio e, quando serve, laparoscopia con conferma istologica.

Perché la diagnosi precoce è così difficile

In molte donne il quadro clinico non segue una scala proporzionale all’estensione delle lesioni: dolori importati possono associarsi a reperti minimi, mentre altre, senza disturbi e con gravidanze in anamnesi, mostrano lesioni evidenti in laparoscopia. Alcuni autori hanno persino ipotizzato la presenza di microfocolai endometriosici molto diffusi nella popolazione femminile, che non sempre equivalgono a malattia clinicamente significativa. Questo spiega perché la definizione di “malattia” richiede non solo il microscopio, ma il contesto dei sintomi e della vita della persona.

Non di rado si cita la mancanza di uno standard come ostacolo principale: l’endometriosi non ha ad oggi un “test d’oro” capace di sostituire il giudizio clinico. Perfino la biologia tissutale può tradire: ci sono stati casi in cui campioni giudicati negativi sono stati in seguito rivisti con tecniche più fini, mostrando dettagli sfuggiti in prima battuta. In breve, la diagnosi è un mosaico e occorre incastrare bene tutte le tessere.

segnali e test per endometriosi

Epidemiologia, età a rischio e fattori predisponenti

L’endometriosi colpisce con maggior frequenza le donne in età riproduttiva e la sua prevalenza media si aggira intorno al 10%, pur con ampie oscillazioni riportate in letteratura a seconda di definizioni e metodi di rilevazione. È più comune nelle donne con mestruazioni dolorose o infertilità, e il decorso è in buona parte ormono-dipendente. L’incidenza reale resta difficile da quantificare, anche per ritardi diagnostici che possono superare diversi anni dalla comparsa dei primi sintomi.

Quando si ragiona in ottica di “screening mirato”, vengono considerate situazioni di maggior rischio come età tra 25 e 29 anni, anomalie uterine che ostacolano il flusso mestruale, familiarità (il rischio aumenta fino a circa 7 volte con un parente di primo grado), oltre a quadri clinici compatibili in donne in terapia ormonale sostitutiva. Alcuni fattori sono stati descritti come potenzialmente “protettivi” (per esempio attività fisica regolare, aver avuto gravidanze), mentre il fumo è stato storicamente segnalato in modo controverso: va interpretato con grande cautela, perché i rischi del tabacco superano di gran lunga qualsiasi ipotesi di beneficio.

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Segni e sintomi: cosa deve far scattare il sospetto

Il campanello d’allarme più comune è il dolore. Può presentarsi come dismenorrea severa e progressiva, dispareunia profonda e dolore pelvico cronico, talvolta in combinazione. In alcune casistiche, tra le pazienti sottoposte a laparoscopia per dolore e/o infertilità, la prevalenza di endometriosi è risultata elevata; eppure, fino al 40% delle donne con endometriosi può non avere sintomi, dettaglio che complica ulteriormente l’identificazione precoce.

In fase iniziale, il dolore tende a aumentare prima della mestruazione con picchi (probabilmente mediati da prostaglandine), mentre negli stadi avanzati è più spesso legato ad aderenze e fenomeni compressivi. Non mancano manifestazioni atipiche legate a localizzazioni esterne al bacino: cambia la sintomatologia (per esempio disturbi alla defecazione o alla minzione nel ciclo) e possono comparire quadri rari come emottisi ciclica quando è coinvolto il torace.

Visita ginecologica: quando e come

La visita è preferibile in corrispondenza dei momenti più sintomatici (per molte, durante la mestruazione), poiché può svelare una ipersensibilità profonda alla palpazione bimanuale. Tra i riscontri possibili: utero retroverso, ridotta mobilità uterina, masse annessiali, dolore al setto retto-vaginale. Nessuno di questi è specifico, quindi resta necessario il diagnostico differenziale con patologie infettive e oncologiche.

Imaging: ecografia, risonanza e perché la TAC serve raramente

L’ecografia transvaginale è il primo step per molte pazienti: sensibilità limitata per gli impianti peritoneali (intorno all’ordine delle decine di punti percentuali) ma buona per gli endometriomi ovarici (sensibilità anche oltre l’80% e specificità elevata), riconoscibili per parete spessa, rinforzo acustico posteriore ed echi interni. È utile anche per dimensioni e sede delle cisti, con attenzione al differenziale rispetto ad ascessi o idrosalpinge.

In mani esperte, la resa aumenta associando clinica e biomarcatori: alcuni autori hanno riportato accuratezze molto alte quando si combinano sintomi, Ca-125 ed ecografia. La risonanza magnetica può fornire dettagli sulle cisti “ematiche”: gli endometriomi tendono a essere iperintensi in T1 e ipo in T2, ma l’intensità del segnale cambia con il tempo dalla recente emorragia e non sempre si correla allo stadio di malattia. La TAC, per contro, non ha un pattern densitometrico tipico dell’endometrioma e di solito non è consigliata, salvo casi particolari di differenziale (per esempio sospetto teratoma).

Marcatori sierici e altri test di laboratorio

Il più noto è il Ca-125, una glicoproteina espressa anche da tessuti normali e da alcune neoplasie. Nelle donne con endometriosi è elevato in circa il 40–50% dei casi e supera il 70% negli stadi avanzati, ma è poco sensibile nelle forme minime/lievi e poco specifico in assoluto, complice la sovrapposizione con patologie ovariche oncologiche. Rimane utile per monitoraggio e in quadri selezionati ad alto sospetto, specie se dosato in fase follicolare con cut-off > 35 U/ml e integrato alla visita (meglio in fase mestruale) nelle forme profonde o con endometriomi.

Altri marcatori valutati includono Ca-72, Ca 15.3, TAG-72, Ca 19.9 e PP-14 (glucodelina A). Le performance sono molto variabili (sensibilità dal 2% al 59% e specificità dall’80% al 96%). Tra i più promettenti, gli anticorpi anti-endometrio hanno mostrato sensibilità e specificità rispettivamente nell’ordine dell’80% circa, ma nessuno di questi supera il Ca-125 in utilità clinica pratica. Una linea di ricerca attuale riguarda l’uso di tecniche immunoistochimiche sull’endometrio eutopico per individuare espressioni proteiche alterate nelle donne con endometriosi rispetto ai controlli.

Laparoscopia: dove siamo oggi

La laparoscopia resta il pilastro diagnostico e, spesso, terapeutico. Permette di visualizzare impianti peritoneali o retroperitoneali, aderenze ed endometriomi, di fare lo staging, eseguire cromopertubazione e, quando opportuno, trattare nella stessa seduta. Le lesioni possono essere tipiche (bluastre, brune) oppure atipiche (iperemiche, a vescicola, piccoli difetti peritoneali): l’occhio del chirurgo conta, e tanto. Per ridurre gli errori interpretativi è consigliabile la registrazione video e una liberale strategia bioptica. Non sorprende che fino a circa un terzo dei casi con “nessun reperto evidente” all’occhio nudo possano nascondere focolai microscopici.

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Resta aperta una questione clinica: che cosa fare quando si scoprono lesioni in assenza di sintomi? Non ogni micro-reperto equivale a malattia clinica da trattare; la decisione si modula su età, desiderio riproduttivo, dolore, estensione e rischio di evoluzione.

Immunità e fisiopatologia: cosa succede “dietro le quinte”

Il sistema immunitario ha un ruolo centrale nella storia naturale dell’endometriosi. Nel liquido peritoneale delle donne con malattia, soprattutto agli stadi iniziali, si osserva un aumento di numero e attività dei macrofagi, con incremento di citochine, prostaglandine, TNF e IL-1 (potenzialmente embriotossica). Nelle fasi più avanzate, questi parametri possono invece diminuire. Sul fronte linfocitario, si rileva calo globale delle cellule T (CD4 talora in lieve aumento nel peritoneo agli esordi, marcato decremento dei CD8), attivazione policlonale dei B con aumento autoanticorpale e depositi di complemento nell’endometrio eutopico. Le cellule NK mostrano attività citolitica ridotta, proporzionale allo stadio.

Un capitolo chiave riguarda le integrine, glicoproteine di adesione costituite da subunità alfa e beta. Nel ciclo mestruale fisiologico, alcune integrine (es. la αVβ3) compaiono bruscamente dopo il giorno 19 nel compartimento ghiandolare dell’endometrio fertile. Nelle donne con endometriosi si è osservato che le integrine deputate all’adesione macrofago–cellula endometriale possono essere ridotte, mentre risultano aumentate molecole di adesione verso il peritoneo (VLA, leuco/cito-adesine); la fibronectina, “collante” extracellulare, appare spesso consumata. Contestualmente, fattori pro-angiogenici come TGF-β, EGF e VEGF sono più espressi. Il risultato? Le cellule endometriali che refluiscono in cavità peritoneale durante la mestruazione (menstruazione retrograda) attecchiscono e si vascolarizzano più facilmente, mentre la sorveglianza immunitaria le elimina con minore efficacia: uno scenario di “immunotolleranza”.

Il futuro della diagnosi precoce: promesse e ostacoli

Molti gruppi esplorano marcatori “precoci” per intercettare la malattia allo stadio minimo, prima che esploda in sintomi importanti. Le piste includono: profilo recettoriale ormonale dell’endometrio ectopico (in genere più povero rispetto all’eutopico), assenza del recettore antagonista di IL-1, fattori chemiotattici nel liquido peritoneale, marcatori in saliva e urina, e persino luminescenza indotta da laser dopo captazione di farmaci fluorescenti da parte dei focolai. È stata studiata l’espressione di enzimi come la sintetasi dell’ossido nitrico endoteliale (eNOS) e, soprattutto, della integrina αVβ3 nel tessuto endometriale.

Su quest’ultima, i primi lavori hanno indicato differenze nette nelle donne con endometriosi (più di 700 casi in alcune serie), accendendo la speranza di una biopsia endometriale “predittiva”. Tuttavia, studi successivi con metodi più quantitativi non hanno confermato differenze sufficienti per uso clinico. La diagnosi precoce non invasiva su larga scala non è ancora dietro l’angolo, e la clinica resta al centro.

Approccio pratico al sospetto diagnostico

In termini operativi, le raccomandazioni internazionali suggeriscono di mantenere alta l’attenzione clinica davanti a dolore pelvico cronico, dismenorrea severa, dispareunia profonda, sintomi intestinali o urinari ciclici e infertilità. Si procede quindi a visita pelvica (anche rettovaginale se indicato), si costruisce una mappa del dolore per localizzare le aree più sensibili, e si passa all’imaging mirato (ecografia transvaginale/ addominale; RM pelvica in caso di sospetta malattia profonda o interessamento di organi contigui come vescica, uretere o intestino).

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I marcatori sierici, primo tra tutti il Ca-125, possono supportare l’inquadramento ma non escludono né confermano da soli la diagnosi. Se il dubbio persiste, la laparoscopia rimane la via per la visualizzazione diretta e per una stadiazione corretta, con la possibilità di intervenire terapeuticamente nella stessa seduta quando appropriato.

Fertilità e qualità di vita

L’endometriosi è associata a subfertilità o infertilità in una quota significativa di pazienti: nelle forme avanzate, deformità anatomiche e aderenze spiegano in gran parte la compromissione; negli stadi minimi e lievi entrano in gioco fattori funzionali (alterazioni dell’ovulazione, effetti tossici del liquido peritoneale sugli ovociti e sugli embrioni, interferenza con l’impianto). Pur se tra il 30 e il 50% delle donne con endometriosi può incontrare problemi di fertilità, le società scientifiche ricordano che non è sinonimo di infertilità, e una presa in carico tempestiva è cruciale per preservare le chance riproduttive.

L’impatto sulla qualità della vita è spesso importante: dolore invalidante, assenze lavorative, ripercussioni psicologiche (ansia e depressione) e limitazioni sociali non sono rari. Inoltre, le lesioni possono coinvolgere intestino, vescica e ureteri, con rischio di danni anche irreversibili se la diagnosi e il trattamento tardano. Da qui l’urgenza di riconoscere presto i segnali, anche nelle adolescenti: se il dolore mestruale impedisce di svolgere le attività abituali, è il momento di parlarne con il medico, senza minimizzare.

Non meno importanti le iniziative educative rivolte a ragazze e giovani donne, che mettono al centro parole chiave come endometriosi, mestruazione, endometrio, utero, ovaie ed endometriomi. Messaggi semplici ma incisivi (“se il dolore è forte e ti blocca, non è normale”) possono favorire la diagnosi precoce e contenere gli effetti a lungo termine.

Trattamento: obiettivi e opzioni

La cura è sartoriale e dipende da sintomi, età, estensione, desiderio di gravidanza e comorbilità. La chirurgia laparoscopica è indicata quando il dolore è refrattario, quando ci sono endometriomi voluminosi o localizzazioni profonde con rischio d’organo: in centri esperti, tra il 10% e il 15% delle pazienti può andare incontro a intervento, con benefici sul dolore e sulla fertilità. È essenziale rivolgersi a unità specializzate, perché la chirurgia può essere complessa e il bilancio rischi/benefici deve essere ben ponderato.

Il trattamento medico mira a ridurre la stimolazione estrogenica delle lesioni (pillole combinate o a solo progestinico) e a limitare il reflusso mestruale nel peritoneo; schemi più intensi includono agonisti/antagonisti del GnRH per mettere “a riposo” l’asse ipofisi-ovaio. Per il dolore sono utili i FANS. Poiché l’endometriosi tende a recidivare (circa 25% a 2 anni e 50% a 5 anni dopo la sola chirurgia), spesso si associa una terapia medica post-operatoria.

Visto il ruolo dell’infiammazione e della neo-angiogenesi, si stanno valutando strategie che bersagliano il sistema immunitario o i vasi sanguigni delle lesioni (ad esempio con agonisti dopaminergici anti-angiogenici), opzioni interessanti soprattutto per chi desidera mantenere l’ovulazione. La scelta della terapia richiede un confronto informato, tenendo conto dei progetti riproduttivi e dell’equilibrio tra efficacia e tollerabilità.

Il percorso di diagnosi e cura della endometriosi resta sfidante: nessun singolo test basta, la clinica guida, l’imaging aiuta, i marcatori supportano e la laparoscopia completa quando serve. Anticipare i tempi – ascoltando i sintomi, indirizzando presto agli esami giusti e personalizzando le terapie – può ridurre il dolore, proteggere la fertilità e migliorare la qualità di vita, oggi e nel futuro.

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