Gravità zero: cos’è, perché si fluttua e come cambia il corpo

Última actualización: novembro 23, 2025
  • La microgravità è assenza di peso apparente, non assenza di gravità: in orbita tutto è in caduta libera.
  • Alla quota della ISS la gravità vale ancora circa l’80–90% di quella terrestre; il peso apparente è nullo.
  • Effetti sul corpo: mal d’adattamento iniziale, perdita muscolare e ossea, redistribuzione dei fluidi e riadattamento al rientro.
  • Piccole accelerazioni residue derivano da gradienti di g, marea, attrito atmosferico e manovre del veicolo.

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Parlare di “gravità zero” fa subito pensare ad astronauti che fluttuano nella Stazione Spaziale Internazionale, ma il termine può trarre in inganno: la gravità non scompare mai davvero, nemmeno in orbita. Quello che cambia è il modo in cui il nostro corpo percepisce il peso quando tutte le parti di un sistema si muovono allo stesso modo in caduta libera.

Nelle righe che seguono, scopriremo in dettaglio che cos’è la microgravità, perché in orbita si “pesa” come sulla Terra ma ci si sente leggeri, quali effetti fisiologici emergono, come si simulano periodi brevi di assenza di peso con i voli parabolici, perché in una navicella esistono comunque piccole accelerazioni residue e perfino dove, in teoria, la gravità risulta esattamente nulla. Non mancheranno curiosità concrete sulla vita quotidiana nello spazio e riferimenti a idee classiche come il “cannone di Newton”.

Che cos’è davvero la “gravità zero” (microgravità)

Nel linguaggio comune si dice gravità zero, ma la definizione corretta in ambito scientifico è microgravità: uno stato in cui le forze che danno la sensazione di peso sono estremamente ridotte, pur rimanendo presente il campo gravitazionale. In pratica, quando tutto un sistema si trova in caduta libera, come nel caso di un veicolo in orbita, la bilancia segnerebbe zero anche se la gravità agisce eccome.

Quello che percepiamo come peso ogni giorno non è la trazione gravitazionale in sé, bensì la forza di reazione normale del suolo o della superficie che ci sostiene. La sensazione di “essere pesanti” nasce quando il pavimento spinge contro di noi per opporsi alla caduta. In assenza di questa reazione (cioè in caduta libera), la sensazione svanisce.

Un esempio chiarissimo è un blocco di legno in un contenitore che precipita: se contenitore e blocco cadono con la stessa accelerazione, il contenitore non “regge” il blocco, quindi non gli oppone una reazione normale e il blocco risulta senza peso apparente. Tutto si muove insieme sotto la stessa accelerazione gravitazionale.

Quando, invece, un corpo è fermo su un supporto, le forze interne non sono uniformi: ogni sezione orizzontale deve sostenere il peso di tutto ciò che sta sopra. Questo crea un gradiente di pressione, componente importante della sensazione di peso nel nostro organismo in condizioni normali.

Esiste poi un aspetto opposto e più “meccanico”: se appendiamo un braccio o un oggetto, la trazione interna deve sostenere il peso delle parti sottostanti. L’arto “tira” verso il basso rispetto al corpo, e anche questa è una quota della sensazione di peso che in caduta libera non si avverte.

La situazione percepita come “gravità zero” ha un nome scientifico preciso: imponderabilità. Se si posasse un oggetto su una bilancia all’interno di un ascensore in caduta libera o di un veicolo in orbita, lo strumento leggerebbe zero perché oggetto e bilancia accelerano allo stesso modo. Non a caso il simbolo della microgravità, µg, è apparso persino su stemmi di missioni spaziali dedicate a questi studi, come la STS-107.

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Perché si fluttua in orbita se la gravità c’è

Un’orbita è, come spiegava già Newton, una caduta libera “infinita” attorno a un pianeta. La navicella “cade” verso la Terra, ma la sua velocità orizzontale è tale da farla curvare con il pianeta invece di schiantarsi al suolo: resta sempre alla stessa quota, continuando a cadere.

Alla quota della ISS, circa 400 km, la gravità terrestre non è affatto trascurabile: vale circa l’80–90% di quella al suolo e si può stimare attorno a 8,7 m/s² (contro i 9,8 m/s² della superficie). L’equipaggio però fluttua perché la stazione e tutto ciò che contiene sono in caduta libera perpetua mentre orbitano a circa 28.000 km/h.

È fondamentale la distinzione tra peso e peso percepito: per la fisica, il peso P di un corpo è P = m·g. Nello spazio, quindi, gli oggetti “hanno peso” perché il campo gravitazionale c’è; ma se tutto cade insieme, la reazione di contatto manca e il peso apparente diventa zero.

Il campo gravitazionale diminuisce con il quadrato della distanza dal centro della Terra: raddoppiando la distanza, g si riduce a un quarto; triplicando, a un nono. Diventa esattamente nullo solo idealmente a distanza infinita; tuttavia esistono casi speciali, come il centro di una sfera massiccia perfettamente simmetrica o l’interno di un guscio sferico, in cui le forze gravitazionali si annullano per simmetria (teorema del guscio).

Le piccole forze residue in microgravità

La microgravità non è mai “perfetta” a bordo: restano accelerazioni minuscole ma misurabili. Esiste un gradiente di g con l’altezza di circa 1 parte per milione ogni 3 metri: due punti del veicolo separati verticalmente “sentono” una gravità leggermente diversa.

Inoltre, in un oggetto in orbita il lato più lontano dalla Terra richiede una forza centripeta un filo maggiore rispetto al lato più vicino, contribuendo a minute forze di marea che sembrano “spingere” verso l’esterno rispetto al centro del veicolo.

Anche l’atmosfera molto rarefatta in orbita bassa conta: l’attrito con l’aria residua introduce un piccolo trascinamento che tende a frenare il veicolo, un’altra sorgente di accelerazioni non nulle.

Infine, se una nave accende i propulsori o ruota su se stessa per manovre di assetto, le forze interne di tensione e pressione trasmettono l’accelerazione a ogni componente. In tali fasi l’imponderabilità svanisce e si “sente” una pseudo-gravità.

Volo parabolico: simulare l’assenza di peso sulla Terra

Prima di andare nello spazio, l’assenza di peso si sperimenta anche in aereo. La NASA ha storicamente utilizzato il KC-135, soprannominato “cometa del vomito”: l’aereo vola archi parabolici di circa 6 miglia, compensando la resistenza dell’aria con motori e assetto, così che la traiettoria e la velocità riproducano quelle di un corpo in caduta libera. Il risultato? Finestra di microgravità di circa 25 secondi per parabola; in un volo di 2 ore si eseguono tipicamente una quarantina di parabole.

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Esistono anche operatori privati come Zero Gravity Corporation che impiegano un Boeing 727 modificato: i voli parabolici sono acquistabili per ricerca e turismo, offrendo a scienziati e curiosi la possibilità di vivere in prima persona l’imponderabilità per brevi periodi.

Effetti della microgravità sul corpo umano

Nei primi giorni è comune lo Space Motion Sickness: circa il 45% delle persone in microgravità accusa nausea, vertigini, cefalea, vomito e spossatezza. La durata varia, ma in genere scompare entro 72 ore, quando il cervello si ricalibra al nuovo ambiente.

Nel medio-lungo periodo, l’effetto più rilevante è su muscoli e ossa: la mancanza di carico porta ad atrofia muscolare e perdita di densità minerale dell’osso. Programmi di esercizi intensivi con macchine dedicate limitano questi effetti, ma non li annullano.

I fluidi corporei tendono a ridistribuirsi verso la parte superiore del corpo: si osservano il tipico “viso gonfio”, congestione nasale e talvolta alterazioni della vista. È uno dei motivi per cui gli astronauti spesso riferiscono un “naso sempre chiuso”.

A livello cardiovascolare e ematologico si riscontrano adattamenti come variazioni della circolazione, riduzione temporanea della produzione di globuli rossi e cambiamenti nella regolazione pressoria; compaiono inoltre disturbi di orientamento e un indebolimento del sistema immunitario in alcune condizioni.

Tra i sintomi minori si annoverano calo di peso, disturbi del sonno, aumentata flatulenza e “faccia piena”. La buona notizia è che, con il rientro a Terra, la maggior parte di questi effetti è reversibile con adeguati tempi di riadattamento.

Curiosità: in microgravità la colonna non è compressa come sulla Terra, quindi molti astronauti “crescono” fino a 5 cm durante la missione; la statura torna normale poco dopo il rientro quando la gravità riprende a comprimere i dischi intervertebrali.

La microgravità influisce anche su microrganismi e ambiente: alcune specie batteriche diventano più resistenti, rendendo l’igiene a bordo ancora più cruciale. Studiare questi fenomeni aiuta a prevenire infezioni nelle missioni lunghe.

Al rientro, il corpo deve riabituarsi al peso: sono comuni sensazione di instabilità, vertigini e difficoltà a camminare nei primi giorni, mentre i sistemi vestibolari e muscolari si “risincronizzano”.

Scienza e tecnologia in microgravità

L’assenza di convezione e sedimentazione consente esperimenti altrimenti impossibili: dalla fisica dei fluidi alla combustione, dalla crescita di cristalli alla biologia cellulare. Per esempio, le fiamme tendono a formare sfere anziché lingue allungate, perché senza gravità non si instaura il moto convettivo dell’aria calda verso l’alto.

Progettare hardware per orbita richiede scelte mirate: sistemi che funzionino senza il “verso” imposto dalla gravità, meccanismi di contenimento dei fluidi, gestione di bolle ed evaporazione, e protocolli di manutenzione eseguibili in microgravità. Anche gli equipaggi seguono addestramenti specifici per uso e sicurezza.

Il crescente interesse per il turismo suborbitale permette al pubblico di sperimentare la microgravità per qualche minuto: aziende come quelle private che operano capsule suborbitali offrono finestrini di osservazione e brevi sessioni di fluttuazione. È un modo potente per avvicinare le persone alle scienze spaziali.

La microgravità è anche un formidabile strumento educativo: programmi per scuole e università includono esperimenti reali o simulati che aiutano a comprendere fisica, biologia e ingegneria in modo coinvolgente.

Orbite, cannone di Newton e velocità “di caduta”

Newton immaginò di sparare un proiettile orizzontale da una montagna con velocità via via maggiori: se la velocità è abbastanza alta, il proiettile non tocca mai il suolo e resta in orbita. È la celebre idea del “cannone di Newton”, che spiega intuitivamente perché un’orbita sia una caduta continua.

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Usando la legge di gravitazione di Newton e l’uguaglianza con la forza centripeta si ricava la velocità orbitale bassa di circa 7,7 km/s (circa 28.000 km/h) a 400 km, la quota tipica della ISS. In quella posizione si può calcolare che g è attorno a 8,7 m/s², quindi lontana dall’essere nulla.

Il paragone con l’ascensore che cade è illuminante ma con una differenza: in caduta “verticale” vicini al suolo si accelera a 9,8 m/s², mentre in orbita bassa l’accelerazione “di caduta” è minore (circa 8,7 m/s²) e orientata verso il centro della Terra; la sensazione soggettiva resta la stessa: niente reazione di contatto, niente peso apparente.

Quando la gravità può annullarsi davvero

La gravità è esattamente zero solo in condizioni specifiche: al centro di un pianeta perfettamente simmetrico le forze delle masse circostanti si equilibrano, così come all’interno di un guscio sferico omogeneo (teorema del guscio). Fuori da questi casi ideali, la gravità tende a zero solo con la distanza che cresce verso l’infinito.

Microgravità prolungata e possibili benefici per la medicina

Molti effetti della microgravità ricordano i cambiamenti dell’invecchiamento: perdita ossea, sarcopenia, alterazioni cardiovascolari. Per questo gli studi condotti in orbita possono suggerire strategie contro l’osteoporosi, soluzioni per pazienti allettati e tecniche di riabilitazione più efficaci.

Vita quotidiana in orbita: 10 curiosità concrete

La routine a bordo riserva sorprese pratiche. Gli astronauti dormono in sacchi a pelo ancorati alle pareti, non servono cuscini e si può riposare in qualunque orientamento senza “cadere” dal letto.

L’igiene personale si basa su panni umidi e shampoo senza risciacquo; per lavarsi i denti la pasta va ingoiata o rimossa con salviette, perché l’acqua non “cade” in un lavandino ma forma gocce fluttuanti.

Le lacrime non scendono: si accumulano in bolle attorno agli occhi, rendendo perfino il pianto “strano” da gestire; al contempo, con i fluidi che migrano verso la testa, il naso appare cronicamente tappato.

Anche il fuoco si comporta in modo molto diverso: senza convezione la fiamma diventa una bolla quasi sferica, un fenomeno che gli scienziati usano per studiare combustione e sicurezza a bordo.

Infine, il corpo si riadatta lentamente alla gravità terrestre dopo mesi in microgravità: equilibrio, tono muscolare e propriocezione richiedono giorni o settimane per tornare a regimi terrestri.

Se mettiamo insieme fisica, ingegneria e biologia, il quadro è chiaro: la “gravità zero” non è assenza di gravità ma assenza di forze di contatto che ci facciano sentire il peso. In orbita la Terra continua ad attirare astronauti e veicoli, ma tutto cade insieme e la bilancia, di conseguenza, indica zero; nel frattempo, piccole accelerazioni residue, adattamenti fisiologici, soluzioni tecnologiche e un ricco programma di esperimenti trasformano la microgravità in un laboratorio unico, con impatti che vanno dalla futura esplorazione interplanetaria alla salute di tutti i giorni.

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