Paracetamolo in gravidanza: cosa sapere tra studi e linee guida

Última actualización: novembro 2, 2025
  • Le autorità (MHRA, EMA, AEMPS, FDA) confermano l’uso prudente del paracetamolo in gravidanza: dose minima efficace e per il minor tempo possibile.
  • I grandi studi con controllo tra fratelli non mostrano un nesso causale con TEA/TDAH; le associazioni osservazionali possono riflettere confondenti.
  • Febbre e dolore non trattati comportano rischi reali per madre e feto; per questo il paracetamolo resta l’analgesico di prima scelta quando indicato.

paracetamolo in gravidanza

Il paracetamolo è tra i farmaci più usati al mondo per abbassare la febbre e calmare il dolore moderato, anche durante la gravidanza. Negli ultimi anni, però, sono circolate notizie e studi che hanno sollevato dubbi sul suo impiego in gestazione, soprattutto in relazione a possibili effetti sullo sviluppo neurologico del bambino e a esiti riproduttivi. La discussione è viva, le evidenze sono tante ma non sempre coerenti tra loro, e le autorità sanitarie hanno pubblicato chiarimenti importanti.

In questo articolo trovi tutto, ma davvero tutto, quello che serve: cosa dicono gli studi più grandi e rigorosi (compresi quelli svedesi e giapponesi con controllo tra fratelli), le valutazioni di agenzie come MHRA, EMA, AEMPS e FDA, le cautele raccomandate dai principali organi clinici (RCOG, ACOG, SMFM, FIGO), i possibili rischi della febbre non trattata e le alternative. Troverai anche dati reali sull’uso in gravidanza e un riepilogo dei messaggi contraddittori circolati sui media, incluse dichiarazioni politiche recenti, per distinguere con calma correlazioni da causalità.

Paracetamolo in gravidanza: panorama generale

Derivato dall’acetanilide, il paracetamolo è un analgesico–antipiretico privo di attività antinfiammatoria e antiaggregante piastrinica. È comunemente usato per mal di testa, mal di schiena e sintomi da raffreddore in gestazione; oltre il 60% delle gestanti lo assume, spesso senza ricetta.

Questo farmaco attraversa la placenta e la barriera ematoencefalica, raggiungendo il feto. Il cervello, che si sviluppa in modo particolarmente rapido in utero e nei primi anni di vita, è più vulnerabile a sostanze esterne; da qui l’attenzione scientifica sugli eventuali effetti neurologici di esposizioni prolungate o elevate, anche se la relazione dose–risposta resta difficile da definire nella maggior parte degli studi osservazionali.

Alcune pubblicazioni hanno ipotizzato che il paracetamolo possa agire come disruptor endocrino, interferendo con vie ormonali e collegandosi a esiti riproduttivi o urogenitali nel feto; sono stati riportati, per esempio, incrementi di rischio di malformazioni genitali, una distanza anogenitale più breve e anomalie nella discesa testicolare, oltre a un possibile esordio puberale anticipato nelle bambine. Queste osservazioni, pur rilevanti, provengono in buona parte da studi osservazionali con limiti metodologici.

Si è anche discusso di possibili effetti sul neuro–sviluppo (TDAH, TEA, ritardi del linguaggio o quoziente intellettivo più basso) quando l’esposizione prenatale è più lunga o intensa; tuttavia, come vedremo, i lavori più grandi con disegni robusti non confermano un nesso causale.

Molte donne si domandano se esista un’alternativa. L’ibuprofene, pur essendo analgesico, è un FANS e non è raccomandato in gravidanza (in particolare è controindicato all’inizio della gestazione e in generale gli AINE sono sconsigliati), motivo per cui le opzioni rimaste sono poche e il paracetamolo, usato correttamente, resta la prima scelta.

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Cosa dicono le autorità sanitarie

Nel Regno Unito, un recente comunicato istituzionale ha ribadito che assumere paracetamolo in gravidanza è considerato sicuro quando usato secondo indicazione e resta l’analgesico di prima scelta. La MHRA ha sottolineato che non c’è evidenza che l’uso in gravidanza causi autismo nei bambini e ha invitato a seguire le indicazioni del NHS, consultando il proprio professionista sanitario in caso di dubbi.

In Spagna, l’AEMPS ha comunicato che non esiste evidenza di una relazione causale tra paracetamolo in gravidanza e autismo. Di conseguenza, sostiene il mantenimento d’uso quando clinicamente indicato, impiegando la dose efficace più bassa per il minor tempo possibile e valutando caso per caso, anche perché la febbre non trattata e il dolore intenso comportano rischi.

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A livello europeo, l’EMA ha confermato che le raccomandazioni restano invariate. Nel 2019, il PRAC aveva già evidenziato che gli studi su possibili effetti sul neuro–sviluppo erano non conclusivi, e le informazioni di prodotto in UE riportano che i dati disponibili non indicano un aumento del rischio di malformazioni. Nello stesso tempo, nei fogli illustrativi europei è stata inserita l’avvertenza che i risultati epidemiologici sul neuro–sviluppo sono non univoci.

Negli Stati Uniti, nel settembre 2025, la FDA ha annunciato l’intenzione di aggiornare l’informazione del medicinale per riflettere l’eventuale associazione tra uso in gravidanza e diagnosi successive di TEA o TDAH nella prole. La stessa nota, però, ribadisce che non è stata stabilita alcuna causalità e che il trattamento della febbre durante la gravidanza può essere necessario in determinate circostanze. La FDA ha anche ricordato che l’acetaminofene è l’unico OTC approvato per la febbre in gravidanza.

Altre agenzie, come l’autorità britannica (MHRA), la TGA australiana e Health Canada, mantengono un orientamento allineato: paracetamolo utilizzato in modo appropriato resta un’opzione sicura, mentre si prosegue con un monitoraggio attivo della letteratura e, se servirà, con aggiornamenti di etichettatura.

Evidenza scientifica: dai grandi studi alle revisioni

Il quadro diventa più chiaro guardando i lavori più solidi. Uno studio svedese pubblicato su JAMA nel 2024, che ha incluso quasi 2,5 milioni di bambini nati tra il 1995 e il 2019, ha impiegato un disegno con controllo tra fratelli (sibling control), strategia che consente di tenere conto di fattori genetici e ambientali condivisi. Nei confronti tra fratelli, non è emerso alcun aumento del rischio di autismo, TDAH o disabilità intellettiva associato all’uso di paracetamolo in gravidanza (gli hazard ratio, vicino a 1, non indicavano eccessi di rischio).

Questo è cruciale perché i fratelli di bambini con autismo hanno un rischio familiare maggiore di ricevere a loro volta una diagnosi, e fattori ambientali domestici possono introdurre bias nei modelli convenzionali. E infatti, le deboli associazioni viste nei modelli standard (senza controllo tra fratelli) scompaiono quando si considera la confusione familiare. Un’ulteriore coorte nazionale giapponese, con oltre 200.000 bambini, ha svolto analisi simili e non ha trovato legami tra paracetamolo prenatale e autismo, rafforzando il messaggio.

Sul fronte delle revisioni, nel 2025 un gruppo (Prada et al.) ha valutato 46 studi esistenti su paracetamolo e disturbi del neuro–sviluppo. Molti lavori inclusi presentano limiti: uso dell’auto–riporto sull’esposizione (possibile bias di richiamo), informazioni scarse su dose e durata, risultati misurati con strumenti eterogenei nel tempo, e controllo insufficiente dei fattori di confondimento (compresi quelli genetici e ambientali). È stato anche evidenziato un possibile conflitto di interessi in relazione a testimonianze peritali in cause legali negli USA, poi respinte dai tribunali per carenza di fondamento scientifico.

Metanalisi precedenti avevano riportato rischi combinati modestamente elevati per TDAH e TEA, ma con forte eterogeneità tra gli studi e limitazioni tipiche dei disegni osservazionali. In sintesi, più si rafforza il controllo dei fattori di confondimento, più le associazioni tendono ad attenuarsi o sparire, come mostrano i confronti tra fratelli.

Esistono anche studi che hanno trovato associazioni tra uso prenatale e problemi comportamentali, come la coorte ALSPAC di Bristol (JAMA Pediatrics), in cui è emersa una maggiore probabilità di sintomi di iperattività e problemi emotivi quando l’uso avveniva a 18–32 settimane. Gli autori stessi, però, hanno segnalato limiti importanti, tra cui l’assenza di dati su dose e durata. Analogamente, lavori europei (per esempio in sei coorti) hanno riportato associazioni con TEA e TDAH, ma il disegno osservazionale e la variabilità delle misure suggeriscono cautela interpretativa.

Meccanismi ipotizzati e altri esiti riportati

Sul piano biologico, è stato proposto che il paracetamolo possa interferire con vie endocrine e con processi neuro–sviluppamentali in fasi di alta vulnerabilità. Alcuni studi osservazionali hanno collegato l’esposizione a esiti urogenitali e riproduttivi (ad esempio variazioni della distanza anogenitale, criptorchidismo, pubertà anticipata nelle femmine), ma la prova di causalità resta non dimostrata e i risultati non sono univoci.

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Un altro filone riguarda il dotto arterioso: sono stati riportati casi di chiusura in utero associati a esposizione a paracetamolo, con complicanze neonatali come insufficienza cardiaca e ipertensione polmonare. La letteratura neonatale documenta che il paracetamolo viene anche usato per il trattamento del dotto arterioso pervio nei prematuri, coerentemente con un potenziale effetto di chiusura; questo rende plausibile il segnale, pur richiedendo studi prospettici meglio disegnati per definirne la frequenza in gravidanza e i fattori di rischio.

È bene ricordare che una gran quantità di dati su donne che hanno usato paracetamolo in gestazione non segnala un aumento di malformazioni congenite. Proprio per la coesistenza di risultati rassicuranti e segnali osservazionali da interpretare, le autorità raccomandano un uso prudente: dose minima efficace, per il minor tempo possibile, e sempre su indicazione clinica.

Rischi della febbre non trattata e perché contano

Un punto chiave che emerge dai comunicati delle agenzie è che febbre e dolore non trattati possono essere pericolosi per la madre e per il feto. La febbre alta nelle prime fasi della gestazione è stata associata a perdita di gravidanza, difetti del tubo neurale, labbro leporino e palatoschisi, anomalie cardiache; nelle fasi successive, a parto prematuro e restrizione della crescita fetale. Anche per questo, paracetamolo rimane essenziale negli arsenali clinici, ed è compreso nella Lista dei Medicinali Essenziali dell’OMS.

Le principali società scientifiche internazionali (per esempio ACOG, RCOG, SMFM e FIGO) convergono su un messaggio pragmatico: paracetamolo è la prima scelta per febbre e dolore in gravidanza, da usare con giudizio, rispettando dosaggi e durata minimi necessari, e con valutazione individuale dei casi.

Utilizzo nella popolazione e informazione alle pazienti

Indagini su popolazioni reali mostrano un uso molto frequente in gravidanza (fino a due gestanti su tre). In uno studio prospettico locale, su 900 puerpere, il 67,4% aveva assunto paracetamolo durante la gestazione: quasi tutte entro i limiti terapeutici (<4 g/die), e circa la metà per periodi brevi (meno di tre giorni). Le indicazioni più comuni erano cefalea, sindromi da raffreddamento e dolore odontogeno; la distribuzione per trimestre è risultata simile, con una quota che ha assunto il farmaco lungo più trimestri.

Chi prescriveva più spesso? Medico di famiglia (39%) e ginecologo (37%). Nonostante l’uso sia diffuso, l’informazione non è sempre omogenea: il 26% delle donne riteneva che l’assunzione non avesse alcun effetto sul feto, mentre il 51,9% aveva ricevuto indicazioni da un sanitario e, tra queste, il 74% riferiva che il messaggio era l’assenza di rischi per il feto. Gli autori sottolineano limiti di generalizzabilità (campione con alto livello di istruzione), possibile bias di memoria e l’assenza di follow–up dei neonati; suggeriscono quindi studi più solidi e programmi educativi per promuovere un uso consapevole.

Un caso mediatico: dichiarazioni politiche e risposta della comunità scientifica

Nel settembre 2025, dichiarazioni pubbliche negli Stati Uniti hanno collegato l’uso di paracetamolo in gravidanza all’autismo, esortando a evitarlo salvo in caso di febbre molto alta. Queste affermazioni sono state contestate da esperti e società scientifiche, perché non allineate con l’insieme più robusto delle evidenze.

Le revisioni citate a supporto di un nesso causale presentano criticità metodologiche: dipendenza dall’auto–riporto dell’esposizione (con potenziale sovra–o sotto–stima), scarsa caratterizzazione di dose, durata e finestra temporale, eterogeneità degli strumenti con cui sono stati misurati gli esiti neuro–comportamentali e soprattutto controllo incompleto della confusione (inclusi fattori genetici ambientali familiari). I grandi studi con controllo tra fratelli, invece, non hanno confermato un aumento di rischio di TEA o TDAH.

Le principali società (ACOG, RCOG, SMFM, FIGO) hanno pubblicato note esplicite a favore dell’uso prudente del paracetamolo quando clinicamente giustificato, ricordando i rischi concreti della febbre non trattata e l’assenza di evidenze causali robuste che colleghino il farmaco a disturbi del neuro–sviluppo. Le agenzie regolatorie (MHRA, EMA, FDA) hanno adottato posizioni convergenti: monitoraggio della letteratura, trasparenza sugli studi in corso, nessuna prova di causalità e indicazioni d’uso prudenti.

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Come usare il paracetamolo in gravidanza in modo consapevole

Alla luce di tutto quanto, il messaggio pratico è semplice: se un medico ritiene indicato il paracetamolo, usalo alla dose minima efficace e per il minor tempo possibile. Se la febbre o il dolore non migliorano con le dosi consigliate, contatta il tuo professionista sanitario (medico di famiglia, ginecologo, ostetrica) per una valutazione e per escludere cause che richiedano trattamenti specifici.

Ricorda che, a differenza del paracetamolo, gli anti–infiammatori non steroidei (AINE) non sono generalmente raccomandati in gravidanza e in alcuni periodi sono controindicati. Un uso “fai da te” può creare più problemi che benefici; per questo il consulto clinico è fondamentale, specie nel primo trimestre.

Se vuoi approfondire, molte strutture sanitarie pubblicano materiali informativi; ad esempio, scarica questo PDF informativo che sintetizza precauzioni e raccomandazioni d’uso in ambito ostetrico.

Note legali, privacy e qualità dell’informazione

Nelle risorse consultabili liberamente online, alcuni enti ricordano che le informazioni sanitarie pubbliche non sostituiscono mai il rapporto medico–paziente. Per casi specifici, serve sempre il parere del proprio medico. Inoltre, molti siti istituzionali dichiarano l’impegno a tutela della privacy (raccolta dati limitata al servizio richiesto, uso controllato, sicurezza dei server, cifratura nelle trasmissioni sensibili), diritti dell’utente su accesso, rettifica, cancellazione e opposizione, e assenza di raccolta intenzionale di dati di minori.

Vengono anche chiarite le regole per link in uscita e in entrata, le responsabilità sui contenuti di terzi e l’adesione a codici di qualità dell’informazione sanitaria online (come WMC e HONcode). In caso di aggiornamenti delle policy, gli utenti vengono informati con avvisi ben visibili, ed è incoraggiata la revisione periodica delle condizioni d’uso.

Percorso rapido tra messaggi chiave

Dal punto di vista della sanità pubblica, il punto di equilibrio è chiaro: gestire correttamente febbre e dolore in gravidanza è importante, e il paracetamolo resta l’opzione preferibile se indicata; allo stesso tempo, si usa la dose più bassa per il periodo più breve, evitando l’assunzione per disturbi lievi quando non necessaria, e confrontandosi con il curante.

Sulla questione autismo/TDAH, gli studi più ampi e metodologicamente rigorosi, inclusi quelli con controllo tra fratelli, non supportano un nesso causale. Le associazioni riportate da studi osservazionali meno controllati possono riflettere confondenti non misurati (genetici, ambientali, per indicazione). Le agenzie regolatorie e le società scientifiche convergono quindi su prudenza senza allarmismi.

Per i possibili esiti riproduttivi e urogenitali, esistono segnali osservazionali che meritano approfondimento, ma mancano prove definitive. Lo stesso vale per i casi di chiusura del dotto arterioso: plausibili dal punto di vista farmacologico, ma ancora da incasellare con precisione epidemiologica. Servono studi prospettici ben disegnati, e nel frattempo si applica la regola d’oro di dose minima e tempo minimo.

Infine, evita di farti guidare da annunci mediatici o politici: la pratica clinica va tarata su linee guida, consenso scientifico e valutazioni individuali. In caso di dubbi su sintomi persistenti o necessità di ricorrere spesso a un analgesico, parlane con il tuo medico per un piano personalizzato e sicuro per te e per il tuo bambino.

Guardando al complesso delle prove e alle posizioni ufficiali, il paracetamolo in gravidanza resta l’analgesico e antipiretico di riferimento quando serve e se usato correttamente: non perché sia “perfetto”, ma perché ha il miglior profilo beneficio–rischio disponibile in questo contesto, a fronte della chiara pericolosità della febbre non trattata. L’approccio più saggio è usare buon senso clinico, la dose più bassa per il minor tempo, e affidarsi ai professionisti per ogni scelta terapeutica.