Come generare elettricità dalle onde radio: scienza e casi reali

Última actualización: novembro 12, 2025
  • Le rectenne convertono onde RF in corrente continua; metassuperfici e spintronica ne aumentano l’efficienza anche a potenze molto basse.
  • USF ha dimostrato metassuperfici capaci di raccogliere fino a 100 µW tra 0,7–2,0 GHz e di alimentare un LED con uno smartphone vicino.
  • I limiti fisici emergono sotto −20 dBm, ma con array di rectenne e design su chip si alimentano sensori e IoT in ambienti ricchi di segnali.
  • Casi reali come IBBX e demo INFRGY mostrano applicazioni pratiche in industria e consumer, riducendo cavi e batterie con benefici ESG.

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Trasformare l’elettrosmog in corrente utilizzabile non è più fantascienza: una nuova generazione di antenne e circuiti sta imparando a «raccogliere» le onde radio ambientali, come quelle di Wi‑Fi, Bluetooth, GPS e reti cellulari, per alimentare piccoli dispositivi. Dalla ricerca universitaria alle startup, la corsa all’energy harvesting RF è in pieno fermento.

Ciò che fino a ieri sembrava marginale oggi si intravede come tassello reale della transizione digitale: sensori senza batteria, LED e microelettronica a bassissimo consumo possono già funzionare sfruttando l’energia diffusa nell’aria. Non si parla di sostituire una centrale elettrica, ma di eliminare cavi e pile laddove i fabbisogni sono minimi e continui, con benefici in termini di costi, affidabilità e sostenibilità.

Dalle onde radio all’elettricità: come avviene la conversione

Il principio è semplice da raccontare e sofisticato da ingegnerizzare: un’antenna capta l’onda elettromagnetica e induce una corrente alternata; un circuito a valle la «raddrizza» in corrente continua, utilizzabile da circuiti e micro‑sensori. Questa architettura prende il nome di rectenna, fusione di «antenna» e «rectifier».

Nel mondo reale, però, le intensità delle onde ambientali sono spesso molto basse. Per questo, la sfida chiave è aumentare l’efficienza di cattura e di rettifica su segnali a potenze minuscole, tipicamente quelli irradiati da router, smartphone e torri cellulari su bande come 0,7–2,0 GHz.

Da alcuni anni si stanno affermando due strade complementari: metamateriali e metassuperfici, capaci di interagire in modo «su misura» con i campi elettromagnetici, e rettificatori d’avanguardia (inclusa la spintronica) pensati per funzionare senza perdite e con soglie di attivazione bassissime.

Quando la sorgente è «distribuita» nell’ambiente, come nel caso del Wi‑Fi domestico o della telefonia mobile, l’energia raccolta per singolo dispositivo è nell’ordine di microwatt. Eppure, per molte applicazioni IoT a consumo quasi nullo è già abbastanza per alimentare ciclicamente sensori e circuiti di trasmissione a bassa potenza.

È qui che entra in gioco anche l’ottimizzazione del sistema: antenna, matching, diodo (o dispositivo di rettifica) e gestione dell’energia devono lavorare in sincronia, riducendo al minimo le perdite su segnali intermittenti e multi‑banda.

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Rectenne: che cosa sono e come funzionano

Una rectenna tipica include un’antenna (spesso un dipolo o microstrip) e un raddrizzatore a diodo: l’antenna trasforma l’onda in corrente alternata, il diodo la converte in continua. La catena di conversione è completata da filtri, circuito di adattamento e un piccolo accumulo (ad esempio un condensatore), utile a stabilizzare la potenza erogata al carico.

Nei prototipi convenzionali l’efficienza di conversione è alta solo oltre una certa potenza d’ingresso; a livelli deboli tipici dell’ambiente, le perdite crescono. Per aggirare questo limite, diverse équipe hanno sperimentato materiali e dispositivi non convenzionali, con l’obiettivo di attivarsi e rettificare a potenze negative in dBm, con soglie ridottissime.

Una direzione promettente arriva dalla spintronica: sfruttando la rotazione degli elettroni in materiali magnetici, alcuni gruppi di ricerca di Singapore, Giappone e Italia hanno dimostrato rectenne che estraggono energia dai segnali ambientali e la trasformano in corrente continua, aprendo la strada a versioni su chip più compatte e sensibili.

In parallelo, l’integrazione delle rectenne a livello di circuito integrato promette non solo miniaturizzazione, ma anche un migliore abbinamento tra antenna e raddrizzatore, riducendo perdite ohmiche e reattive e massimizzando le prestazioni alle frequenze di interesse.

Grazie a queste soluzioni, oggi è pensabile alimentare piccoli sensori, tag e nodi IoT in modo intermittente, sfruttando la densità di segnali radio che permeano case, uffici e aree urbane ad alta connettività.

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Metamateriali e metassuperfici: il salto di efficienza dalla University of South Florida

Un risultato spesso citato riguarda il lavoro della University of South Florida: qui è stata sviluppata un’antenna a metassuperficie in grado di assorbire con grande efficacia onde tra 0,7 e 2,0 GHz e convertirle in energia elettrica. La struttura, piatta e compatta (un pannello di circa 16 × 16 cm), è stata progettata per massimizzare l’assorbimento e il flusso di corrente.

Nei test di laboratorio, la metassuperficie ha raccolto fino a 100 microwatt con un’intensità di circa 0,4 microwatt/cm², paragonabile a quella misurabile a 100 metri da una torre di telefonia. In condizioni di forte campo locale, durante una chiamata con uno smartphone avvicinato all’antenna, è stato possibile accendere un LED, dimostrando la capacità del sistema di convertire energia reale.

Oltre alle prove sperimentali, i ricercatori hanno ipotizzato impieghi pratici: fornire in un ambiente indoor una sorgente RF dedicata per ricaricare o alimentare dispositivi, eliminando cavi e batterie in applicazioni dove i microconsumi dominano (ad esempio reti di sensori residenziali o di monitoraggio strutturale).

Secondo il team, guidato da studiosi come Jiangfeng Zhou e Clayton Fowler, l’eliminazione di cablaggi e batterie porterebbe benefici tangibili: riduzione dei costi di manutenzione, maggiore affidabilità dei sistemi e migliore sostenibilità grazie a minori sostituzioni e smaltimenti.

Non meno importante, l’uso di metassuperfici consente un design quasi piatto e integrabile: pannelli «intelligenti» possono essere occultati in pareti o arredi, trasformando superfici passive in punti di raccolta energetica distribuiti, con impatti minimi sull’estetica degli spazi.

Efficienza, limiti fisici e dBm: dove si vince e dove si perde

Le misure in dBm aiutano a capire i limiti pratici: nell’intorno di −10 dBm, i circuiti di rettifica migliori possono convertire anche il 40–70% dell’energia, a seconda della configurazione. Man mano che la potenza scende, l’efficienza cala drasticamente.

Sotto circa −20 dBm, la conversione utile precipita spesso sotto l’1%. In questo regime giocano un ruolo perfino le «incertezze termodinamiche»: sottilissimi strati di materiale possono schermare quasi del tutto la radiazione e piccolissime resistenze impedire il flusso di corrente.

Alcuni prototipi avanzati hanno però esteso la sensibilità: è stato mostrato che persino a −62 dBm si può generare una corrente continua sufficiente, ad esempio, a far funzionare un sensore di temperatura standard, specialmente collegando più rectenne in parallelo o a matrice.

Per dare un’idea delle scale, a circa un metro da un router WLAN che trasmette alla massima potenza, solo una frazione microscopica del segnale raggiunge la superfice di un chip di raccolta: si parla di una porzione nell’ordine di un trentamillesimo rispetto alla potenza irradiata. È evidente che la progettazione dev’essere spinta al limite per intercettare e rendere utile quel che si disperde nell’ambiente.

Nonostante ciò, in contesti ad alta densità di sorgenti (centri urbani, edifici smart, aree industriali) la somma di molti contributi a bassa potenza crea un «mare» energetico sfruttabile, specialmente se si adottano pannelli di raccolta distribuiti e si curano matching e rettifica per bande specifiche.

Rettifica spintronica e integrazione su chip: la frontiera che miniaturizza

Un team congiunto di Singapore, Giappone e Italia ha presentato una rectenna basata su fenomeni spintronici: manipolando la rotazione degli elettroni in materiali magnetici, è possibile rettificare segnali RF con perdite ridotte e ottenere corrente continua utile per micro‑dispositivi.

Questa tecnologia, ancora in fase di prototipo, è stata pensata per cogliere i segnali ambientali di Wi‑Fi, Bluetooth e comunicazioni mobili e trasformarli in energia in grado di alimentare elementi elettronici a bassissimo consumo. Tra gli obiettivi a breve termine c’è l’integrazione della rectenna direttamente su chip.

Non solo: collegando e sovrapponendo più unità, i ricercatori sono riusciti a far funzionare un sensore di temperatura standard usando esclusivamente radiazione elettromagnetica ambientale, dimostrando che l’aggregazione di dispositivi migliora la potenza disponibile al carico.

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La prospettiva è chiara: meno batterie usa‑e‑getta, nodi IoT auto‑alimentati e reti di sensori più sostenibili. Con l’affinamento dei materiali e dei processi, questi concetti potrebbero migrare fuori dai laboratori e trovare sbocchi commerciali su larga scala.

Sul piano sistemico, l’integrazione monolitica migliora il matrimonio tra antenna, raddrizzatore e gestione dell’energia, riducendo induttanze parassite e capacità indesiderate che, a frequenze radio, possono uccidere l’efficienza.

Dalla ricerca al mercato: il caso IBBX in Brasile

Non esistono solo laboratori: in Brasile, la startup IBBX (Capivari, SP) porta l’RF harvesting verso applicazioni reali. Fondata da Luis Fernando Destro e William Aloise, ha sviluppato una tecnologia capace di catturare onde elettromagnetiche a bassa frequenza (da TV, radio, satelliti, forni a microonde e simili) e di accumularle in un circuito «serbatoio», per poi convertirle in corrente continua e ricaricare una batteria.

Secondo i fondatori, la loro soluzione si distingue dalla classica induzione a corto raggio: qui la trasferenza energetica è possibile a distanze più lunghe, sfruttando ciò che l’ambiente già irradia. L’azienda ha già ottenuto una patente negli Stati Uniti e depositato richieste in altri Paesi.

Tra i progetti in corso figura una cover‑caricatore per smartphone che promette ricariche in mobilità, senza cavi né prese. A tendere, l’idea è integrare l’harvesting nella stessa fase di produzione dei telefoni, così che i dispositivi nativamente «respirino» energia dall’ambiente quando disponibile.

IBBX non si ferma all’elettronica consumer: ha già in portafoglio misuratori wireless che monitorano impianti su un raggio fino a 2 km in settori come acqua, chimica, miniere, carburanti e alimentare. Questi sensori misurano temperatura, pressione, vibrazioni, portata e inviano i dati a un gateway e poi a un software di supervisione.

Il nodo interessante è che, in contesto industriale, gli stessi impianti generano un «habitat» ricco di RF; i dispositivi IBBX lo sfruttano per alimentarsi, contribuendo alla digitalizzazione della fabbrica (Industria 4.0) senza proliferare batterie. L’azienda dichiara inoltre un forte allineamento ai principi ESG, mirando a ridurre rifiuti e manutenzioni.

In pochi anni, IBBX ha stretto rapporti con oltre 45 istituzioni e costruito un team di circa 60 persone, tra cui 11 professionisti formati al SENAI. Premi e riconoscimenti non sono mancati: dal Vallourec Open Brasil a «Startups do Futuro» (Wylinka e Sebrae), fino alla lista «100 Startups to Watch 2022».

Prove sul campo e prototipi: INFRGY e il generatore di Dennis Siegel

Nel panorama delle dimostrazioni pubbliche, INFRGY LLC ha presentato una tecnologia per convertire RF in elettricità durante un evento presso l’Istituto di Tecnologia dell’Università del Kashmir, con la partecipazione del prof. Rouf Ul Alam Bhat e del cofondatore Parvez Rishi. L’obiettivo è progredire nella trasferenza di energia senza fili.

Sul fronte «maker», lo studente tedesco Dennis Siegel ha realizzato un generatore capace di raccogliere radiazioni a bassa frequenza (50–60 Hz) e alta frequenza (radio, telefonia, Bluetooth, Wi‑Fi) e di trasformarle in corrente. L’idea riprende i concetti alla base dei caricabatterie wireless, ma applicati a sorgenti ambientali disperse.

I dettagli tecnici non sono stati divulgati a fondo, e l’invenzione non risulta brevettata; Siegel ha dichiarato che il sistema potrebbe caricare una batteria AA nell’arco di una giornata sfruttando solo l’energia elettromagnetica raccolta. Resta però la sfida di «indirizzare» la potenza in modo efficiente verso il dispositivo di destinazione.

Queste prove, pur con limiti e margini di dubbio, hanno un valore divulgativo: mostrano che l’harvesting RF è tangibile, che si può sperimentare su più bande e che, con un’attenta progettazione di antenne e bobine (anche semplici in rame), si può generare elettricità dal «rumore» elettromagnetico quotidiano.

Il passo dal prototipo al prodotto stabile richiede comunque affidabilità, ripetibilità e integrazione con elettronica di gestione, oltre alla conformità normativa in materia di emissioni e sicurezza elettromagnetica.

Dove ha senso oggi: sensori, LED, RFID e strutture intelligenti

Il primo ambito applicativo è quello dei consumi minimi: sistemi di sensori per la casa (temperatura, luce, movimento) e per il monitoraggio strutturale di edifici e ponti. Qui, sostituire batterie è costoso o impraticabile; una fonte perpetua, anche limitata, è un vantaggio enorme.

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Un esempio storico è l’RFID passivo: i tag si alimentano con la radiazione del lettore e rispondono senza batteria, lo stesso principio che oggi si tenta di estendere a reti di nodi più «smart». Persino alcuni transponder per capi invernali usano meccanismi simili per il ritrovamento in caso di valanghe.

Quando il segnale disponibile è intorno a −10 dBm, le rectenne più curate possono arrivare a efficienze del 40–70%; in corrispondenza di campi molto deboli, il rendimento cala ma, aggregando dispositivi o avvicinandosi alle fonti, si raggiungono livelli utili per LED, micro‑sensori e beacon.

In scenari urbani densi, come il centro di Singapore, l’abbondanza di sorgenti facilita la raccolta, mentre in zone rurali la scarsità di segnali rende questa strategia poco praticabile senza introdurre una sorgente dedicata (a bassa potenza e regolamentata) per alimentare l’ecosistema di dispositivi.

Un filone interessante è proprio l’uso di sorgenti RF controllate in ambienti indoor: pannelli‑carica invisibili potrebbero tenere in vita sensori e micro‑attuatori distribuiti in una stanza, limitando drasticamente cavi e interventi di sostituzione batterie.

Materiali, circuiti e architetture: come si progettano sistemi vincenti

Per «spremere» ogni microwatt servono scelte oculate: antenne risonanti sulla banda giusta, metassuperfici selettive, circuiti di matching a bassa perdita e raddrizzatori con soglie ridotte, spesso basati su diodi Schottky o dispositivi innovativi.

La gestione dell’energia è cruciale: un circuito «serbatoio» (o tank) accumula carica e la rilascia al carico in modo stabile. Strategia comune è lavorare a cicli, accendendo il sensore o la radio solo quando la tensione accumulata supera una soglia, così da garantire letture e trasmissioni affidabili.

Metamateriali e metassuperfici portano vantaggi notevoli: possono focalizzare, assorbire e reindirizzare il campo con geometrie progettate, migliorando la densità di potenza sul raddrizzatore senza ricorrere a ingombranti array di antenne tradizionali.

Anche l’empilamento e l’interconnessione di più rectenne aiuta: collegando in parallelo si sommano le correnti, in serie le tensioni; con matrici ben progettate, si possono superare soglie operative che un singolo elemento non raggiungerebbe in condizioni ambientali.

Infine, l’ottimizzazione multi‑banda è spesso più realistica: invece di inseguire una sola frequenza, conviene intercettare più canali (ad esempio 900 MHz, 1,8 GHz, 2,4 GHz) per sommare contributi e stabilizzare l’alimentazione su base statistica.

Sicurezza, costi e sostenibilità

Dal punto di vista della sicurezza, l’harvesting RF lavora su livelli di campo già presenti nell’ambiente o su sorgenti dedicate a bassa potenza conformi alle normative; non introduce dunque esposizioni aggiuntive significative quando correttamente progettato.

L’impatto economico è duplice: riduce cablaggi e manutenzione (specialmente la sostituzione periodica di batterie), e consente di distribuire sensori in luoghi difficilmente raggiungibili. In contesti industriali, ciò si traduce in meno fermi e maggiore affidabilità.

La dimensione ambientale è di grande interesse: parliamo di «riciclo energetico» dell’elettrosmog. Meno batterie significa meno rifiuti pericolosi, allineandosi ai principi ESG adottati da molte aziende e richiesti dagli investitori.

Resta inteso che, per usi più esigenti di potenza, l’harvesting RF non sostituisce fonti convenzionali; ma come «tappabuchi» per micro‑consumi diffusi, può generare risparmi e benefici ambientali su larga scala.

In prospettiva, l’integrazione invisibile in arredi, pareti e dispositivi farà percepire questa tecnologia come parte dell’infrastruttura, non come elemento aggiuntivo, favorendone l’adozione in case, uffici e stabilimenti.

Guardando al quadro complessivo, le evidenze raccolte su metassuperfici ad alta efficienza (USF), rectenne spintroniche, dimostrazioni come INFRGY e casi industriali come IBBX mostrano che la strada è tracciata: non per alimentare tutto, ma per alimentare «bene» ciò che consuma pochissimo, riducendo cavi, batterie e sprechi energetici in modo pragmatico.