- Tre macro-cause antropiche: energia/industria, uso del suolo/agricoltura, trasporti/edifici/consumi.
- Gas serra chiave (CO2, CH4, N2O, gas fluorurati) e prove scientifiche del ruolo umano.
- Impattti già visibili: eventi estremi, ghiacci in ritirata, oceani più caldi e più acidi.
- Soluzioni integrate: rinnovabili, efficienza, tutela delle foreste, politiche e finanza climatica.
Il pianeta sta vivendo un rapido aumento delle temperature medie e, secondo le serie storiche più solide, gli ultimi anni sono stati i più caldi da quando si misurano in modo sistematico i dati termici. In poche parole, il riscaldamento globale è l’innalzamento anomalo della temperatura media terrestre rispetto all’epoca preindustriale, spinto soprattutto dall’accumulo di gas serra di origine antropica che intrappolano calore nell’atmosfera. Per una panoramica sulle cause e conseguenze del riscaldamento globale, vedi le risorse collegate.
Sebbene l’“effetto serra” sia un fenomeno naturale e indispensabile per rendere la Terra abitabile, la sua intensificazione per via delle emissioni umane ha alterato l’equilibrio energetico del sistema climatico, innescando cambiamenti nelle piogge, nello scioglimento dei ghiacci, nell’innalzamento dei mari e nella biodiversità. Serve una risposta urgente di Stati, imprese e cittadini per ridurre le emissioni e rafforzare l’adattamento. Le principali conseguenze del riscaldamento globale sono già osservabili in molte regioni.
Che cos’è il riscaldamento globale
Con l’espressione riscaldamento globale si indica l’incremento oltre la norma delle temperature medie della superficie terrestre. Le analisi della comunità scientifica mostrano che la gran parte del riscaldamento si è verificata dalla seconda metà degli anni ’70, con un’accelerazione netta nel XXI secolo. Stime autorevoli indicano che la Terra sia già circa 1,1–1,36 °C più calda rispetto al periodo preindustriale, e gli ultimi dieci anni risultano i più caldi dall’inizio delle misurazioni globali.
L’intensificazione dell’effetto serra per cause umane è la chiave interpretativa: più gas serra significa maggiore trattenuta del calore che, invece di disperdersi verso lo spazio, resta vicino alla superficie e fa salire le temperature. Per l’entità e la diffusione degli impatti, il riscaldamento globale è considerato un problema ambientale grave, al punto che è stata coniata l’espressione “ebollizione globale” per descrivere il livello attuale di rischio.
Effetto serra e riscaldamento globale: differenze e legame
L’effetto serra è un processo naturale: alcuni gas atmosferici (come vapore acqueo, CO2, CH4 e N2O) assorbono parte della radiazione infrarossa irradiata dalla Terra, riducendo la perdita di calore verso lo spazio e mantenendo condizioni idonee alla vita. Le reazioni e i processi coinvolti sono descritti in dettaglio nelle reazioni chimiche coinvolte. Il riscaldamento globale è la conseguenza dell’amplificazione antropica dell’effetto serra, dovuta all’aumento delle concentrazioni di gas serra per combustione di fossili, cambi d’uso del suolo, industria e altri processi.
Le osservazioni mostrano segnali coerenti con questa spiegazione: la bassa atmosfera (troposfera) si riscalda mentre la stratosfera si raffredda, un’impronta tipica dell’effetto serra accresciuto e non di un eventuale aumento della sola attività solare. Modelli climatici avanzati replicano il riscaldamento osservato solo includendo le emissioni antropiche, mentre forzanti naturali (Sole e vulcani) non spiegano l’aumento registrato dopo la rivoluzione industriale.
Le evidenze scientifiche principali
La scienza del clima si basa su diverse linee di prova convergenti: (1) fisica dell’effetto serra ben compresa e concentrazioni di GHG in aumento; (2) ricostruzioni paleoclimatiche che indicano l’eccezionalità del riscaldamento recente; (3) modelli che spiegano i trend solo con le forzanti antropiche; (4) monitoraggi delle forzanti naturali che risultano inadeguate a giustificare l’entità del riscaldamento attuale.
Dal 1750 al 2005, il forcing radiativo medio globale da CO2 è stato stimato attorno a +1,66 W/m², mentre l’aumento dell’irraggiamento solare è stato al massimo di circa +0,12 W/m². Le misure di CO2 avviate da Keeling nel 1958 (la celebre “Keeling Curve”) mostrano un’ascesa da ~313 ppm a ~415 ppm nel 2019, valori mai toccati negli ultimi 2 milioni di anni; nel triennio 2022–2024, inoltre, la crescita è risultata tra le più rapide mai osservate, complice anche un forte evento El Niño.
I principali gas serra e il loro ruolo
Tra i gas climalteranti spiccano i principali gas che causano il surriscaldamento come anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido nitroso (N2O), ozono troposferico e gas fluorurati (HFC, PFC, SF6), oltre al vapore acqueo considerato principalmente un feedback. La CO2 è la quota maggiore delle emissioni totali e deriva soprattutto dalla combustione di carbone, petrolio e gas, ma anche da deforestazione e processi industriali (cemento, acciaio, alluminio, fertilizzanti).
Il metano è un gas serra molto potente: per unità di massa ha un effetto riscaldante decine di volte superiore alla CO2 su orizzonti temporali secolari, e proviene da allevamenti (fermentazione enterica e gestione dei reflui), risaie, discariche, acque reflue e filiere di carbone, petrolio e gas. Il N2O, emesso soprattutto da pratiche agricole e fertilizzanti, è centinaia di volte più potente della CO2 su 100 anni. I gas fluorurati, di origine industriale, presentano potenziali di riscaldamento globale (GWP) molto elevati, sebbene rappresentino frazioni minori delle emissioni totali.
Tre tipi di cause del riscaldamento globale
Per capire davvero “da dove arriva” l’aumento delle temperature, è utile classificare le origini antropiche in tre grandi famiglie. Questa lettura sintetica aiuta a collegare attività quotidiane, filiere economiche e impatti climatici, esattamente dove possono agire politiche pubbliche e scelte individuali.
1) Energia e industria
La generazione elettrica e termica, insieme ai processi manifatturieri, resta una delle fonti più consistenti di emissioni. Gran parte dell’elettricità mondiale deriva ancora dalla combustione di carbone, petrolio o gas, che rilascia CO2 e N2O. La produzione di cemento, ferro, acciaio, chimica e plastica richiede calore ed energia quasi sempre fossile, mentre molte macchine e caldaie industriali funzionano con combustibili fossili. A ciò si aggiungono emissioni di processo (per esempio nella clinkerizzazione del cemento), che si sommano alla quota energetica.
2) Uso del suolo, agricoltura e deforestazione
Il cambiamento d’uso del suolo – in primis la deforestazione per pascoli e colture – libera il carbonio immagazzinato negli alberi e riduce la capacità naturale di assorbimento della CO2. Le stime indicano milioni di ettari di foresta persi ogni anno e, nell’insieme, agricoltura e uso del suolo possono contribuire a una porzione rilevante delle emissioni globali. Il settore zootecnico pesa su metano e N2O (fermentazione enterica, deiezioni, fertilizzanti), mentre l’uso di fuoco e le bruciature indiscriminate amplificano il rilascio di CO2 e inquinanti.
3) Trasporti, edifici e consumi
Auto, camion, navi e aerei dipendono in larga parte da carburanti fossili, con i veicoli stradali in testa alle emissioni energetiche del comparto. Gli edifici residenziali e commerciali consumano oltre metà dell’elettricità globale e, dove riscaldamento e raffrescamento sono garantiti da caldaie e sistemi alimentati a carbone, gas o derivati petroliferi, le emissioni crescono con domanda di climatizzazione e apparecchiature. Anche gli stili di vita – alimentazione, prodotti, rifiuti – incidono in modo significativo, con la fetta più ricca della popolazione che concentra una quota sproporzionata di emissioni.
Come avviene il riscaldamento: forzanti, feedback e aerosol
La dinamica è semplice nei principi ma complessa nei dettagli: la Terra riceve radiazione solare e riemette calore verso lo spazio. I gas serra assorbono una parte di questa radiazione infrarossa e la riemettono in tutte le direzioni, rallentando la fuga del calore. La quantità di gas serra è una forzante esterna che spinge il sistema verso un nuovo equilibrio termico, mentre i feedback (come vapore acqueo, nuvole, ghiaccio-albedo e permafrost) possono amplificare o attenuare la risposta.
Gli aerosol – minuscole particelle sospese – complicano ulteriormente il quadro: solfati, carbonio organico e polveri riflettono la luce solare e hanno contribuito, tra gli anni ’60 e ’90, al cosiddetto “oscuramento globale”. Con il miglior controllo dell’inquinamento, questa “copertura” è diminuita e oggi maschera meno il riscaldamento causato dai gas serra. Il carbonio nero depositato su neve e ghiaccio, invece, riduce l’albedo e accelera lo scioglimento, aumentando l’assorbimento di calore. Contenere i depositi nel sistema artico apporterebbe benefici climatici misurabili già entro il 2050.
Il ruolo dell’ozono stratosferico
L’ozono in stratosfera protegge dagli ultravioletti, mentre quello troposferico è un inquinante dannoso e un gas serra. Le emissioni di CFC hanno assottigliato la “fascia” di ozono in passato; gli sforzi internazionali ne hanno limitato l’uso, ma il recupero è lento. Una stratosfera più sottile o alterata può influire sui bilanci radiativi, e comportamenti emissivi irresponsabili rischiano di compromettere questo scudo naturale con impatti a catena su clima ed ecosistemi. Per approfondire i principali inquinanti e i loro effetti, consultare le risorse indicate.
Settori e numeri delle emissioni
A livello globale, nel 2019 le emissioni antropiche totali hanno raggiunto circa 59 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, con il 75% di CO2, il 18% di CH4, il 4% di N2O e il 2% di gas fluorurati. Le centrali elettriche, i trasporti, l’industria pesante e l’agricoltura sono i contributori principali; i processi produttivi e la produzione di materiali di base aggiungono quote significative via reazioni chimiche e input energetici fossili. Il quadro rientra nella più ampia tematica dell’inquinamento ambientale e delle sue implicazioni.
Terra e oceani assorbono ancora circa la metà delle emissioni di CO2 umane: la biosfera terrestre fissa carbonio nei suoli e nella vegetazione, mentre gli oceani dissolvono CO2 in superficie e la redistribuiscono in profondità. Tuttavia, con l’avanzare del riscaldamento, siccità e ondate di calore possono indebolire i pozzi terrestri, e l’acidificazione marina, insieme ai cambiamenti della circolazione oceanica, riduce nel tempo l’efficienza dell’assorbimento.
Conseguenze già in corso
Il riscaldamento globale alimenta cambiamenti climatici su scale regionale e globale. Tra gli effetti osservati e attesi rientrano: più giorni caldi e ondate di calore, tempeste più intense con piogge estreme, perio di siccità prolungate, incendi facilitati da condizioni calde e secche, scioglimento di ghiacci e ghiacciai con innalzamento del livello del mare.
L’oceano si riscalda a tutte le profondità e assorbe gran parte dell’eccesso di calore; l’espansione termica dell’acqua, unita al contributo dei ghiacci continentali, fa crescere il mare. L’assorbimento di CO2 rende l’oceano più acido, minacciando barriere coralline e vita marina. Si registrano perdite di biodiversità terrestri e marine, con specie che non si adattano o non migrano in tempo, e squilibri nei cicli biogeochimici.
Gli impatti toccano salute, economia e società: l’inquinamento dell’aria e lo stress termico causano più malattie e decessi; la produzione agricola risente di stress idrici e termici; le infrastrutture faticano a reggere eventi estremi. Cresce il numero di persone sfollate per cause climatiche, e le comunità vulnerabili pagano il prezzo più alto.
Cambiamenti climatici, 1,5 °C e fenomeni estremi
La definizione ONU di cambiamenti climatici rimanda a trasformazioni a medio-lungo termine dei pattern di temperatura e precipitazioni indotte dalle attività umane. Le stime indicano un riscaldamento medio di circa 1,1 °C dall’avvio dell’industrializzazione; senza forti tagli alle emissioni, la soglia di 1,5 °C potrebbe essere superata in tempi brevi, con rischi di impatti irreversibili.
Tra le manifestazioni più frequenti si contano ondate di calore durature, periodi di freddo intenso localizzati, piogge “fuori scala”, siccità severissime, oltre a un’alternanza più marcata e intensa di El Niño e La Niña, che modulano i pattern globali di temperatura e precipitazioni con impatti regionali anche devastanti.
Brasile: emissioni, impatti ed equilibrio tra sviluppo e conservazione
Il Brasile figura tra i maggiori emettitori globali di gas serra, con una quota importante legata a deforestazione e agricoltura/zootecnia (metano degli allevamenti, conversione di foreste in campi e pascoli). Negli ultimi anni, gli incendi come strumento di disboscamento hanno amplificato la liberazione di carbonio; anche industria ed elettricità contribuiscono, sebbene la matrice elettrica conti molto rinnovabile.
Il Paese, allo stesso tempo, è attore chiave in sede negoziale, grazie al potenziale ecologico (Foresta Amazzonica) e a strategie di energia rinnovabile. Eventi recenti – ondate di calore estreme, alternanze di siccità e piogge torrenziali collegate a El Niño/La Niña, inondazioni con vittime e sfollati (Bahia, Rio Grande do Sul) – hanno mostrato la vulnerabilità e la necessità di misure urgenti per mitigazione e adattamento.
Accordi climatici e governance internazionale
Dal Summit di Stoccolma del 1972 all’ECO-92 di Rio, la questione ambientale è entrata stabilmente nell’agenda globale. Nel 1997 è arrivato il Protocollo di Kyoto, primo accordo con obiettivi vincolanti di riduzione per i Paesi industrializzati, poi sostituito dagli Accordi di Parigi del 2015, che mirano a mantenere il riscaldamento ben al di sotto di 2 °C e possibilmente entro 1,5 °C, con contributi nazionali determinati (NDC) e meccanismi di trasparenza.
Questi strumenti internazionali orientano le politiche dei governi e promuovono cooperazione, finanza climatica, trasferimento tecnologico e mercati del carbonio. Le strategie includono mitigazione, adattamento, resilienza e giustizia climatica, perché gli impatti colpiscono in modo asimmetrico popolazioni e territori.
Misure per ridurre il riscaldamento globale
Contrastare il riscaldamento richiede un portafoglio integrato di azioni. Sul fronte energetico: accelerare la transizione a rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico sostenibile), migliorare l’efficienza di edifici, processi e trasporti, elettrificare i consumi finali e sviluppare reti intelligenti di accumulo e flessibilità.
Nel primario e nel manifatturiero servono produzioni più pulite, agricoltura rigenerativa, gestione sostenibile dei suoli, riduzione delle perdite e sprechi alimentari. La tutela delle foreste, il ripristino di aree degradate e programmi di riforestazione aumentano i pozzi di carbonio. È cruciale rafforzare controlli, sanzioni per tagli illegali, roghi e inquinamento, e promuovere educazione ambientale e scelte di consumo a minore impronta (mobilità dolce, riciclo, diete a minor intensità emissiva).
Tra gli strumenti tecnici, la cattura, uso e stoccaggio del carbonio (CCUS) può aiutare in settori hard-to-abate; i mercati del carbonio e i crediti di carbonio, se ben regolati, favoriscono la riduzione al costo minimo. Le politiche pubbliche devono generare segnali di prezzo credibili e stabili, integrati da investimenti in adattamento e resilienza (gestione idrica, difese costiere, allerta meteo, salute).
Aerosol, “oscuramento globale” e depositi di fuliggine
Gli aerosol solfatici da combustibili fossili ad alto tenore di zolfo hanno ridotto la radiazione solare alla superficie tra i ’60 e i ’90, un fenomeno noto come global dimming. La riduzione degli aerosol, pur positiva per la salute, significa che oggi il contributo schermante è minore e il riscaldamento sottostante diventa più evidente. La fuliggine (carbonio nero) su neve e ghiaccio aumenta l’assorbimento solare, accelera la fusione e può far crescere il livello del mare; contenerne i depositi nel apporterebbe benefici climatici misurabili già entro il 2050.
Forzanti naturali: Sole e vulcani non spiegano l’aumento recente
Se l’attività solare fosse la causa principale, ci si aspetterebbe un riscaldamento omogeneo anche in alta atmosfera. Invece, le misure mostrano stratosfera in raffreddamento e troposfera in riscaldamento: una firma tipica dei gas serra. Anche il contributo vulcanico netto, sebbene possa raffreddare temporaneamente il clima con grandi eruzioni (aerosol riflettenti), è troppo modesto e breve per giustificare le tendenze secolari osservate dall’era industriale in poi.
Critiche, scetticismo e consenso
Nel dibattito pubblico compaiono posizioni che minimizzano il problema o lo definiscono un ciclo naturale. Tuttavia, le prove accumulate in decenni di osservazioni, la coerenza dei modelli e l’attribuzione quantitativa dei ruoli delle forzanti non lasciano spazio a interpretazioni alternative che escludano la responsabilità umana. Il consenso scientifico sostiene la necessità di agire subito su mitigazione e adattamento.
Esempi didattici e domande ricorrenti
Nelle verifiche e nei test accademici emergono spesso temi chiave: per esempio, è corretto affermare che nel contesto brasiliano la zootecnia è tra le principali fonti di metano (fermentazione nei ruminanti), o che la misura più efficace per attenuare certe proiezioni è ridurre le emissioni di carbonio. Altre risposte tipiche includono l’importanza di investire in energie pulite rispetto all’espansione delle fonti fossili o allo spostamento delle industrie in altri Paesi.
Ugualmente, torna la distinzione concettuale: l’effetto serra è un processo naturale, mentre il riscaldamento globale è l’aumento anomalo delle temperature dovuto alla sua intensificazione antropica. Comprendere la differenza aiuta a riconoscere cause, effetti e soluzioni più adatte a diversi contesti territoriali e settoriali.
Paesi emettitori e vulnerabilità
Le emissioni pro capite e assolute variano tra Paesi, con grandi contributori come Cina, Stati Uniti, India, Russia e Giappone, accanto al Brasile per la componente legata a uso del suolo e agricoltura. Dall’altro lato, esistono Stati particolarmente vulnerabili agli impatti climatici – isole basse, regioni aride o costiere – dove eventi estremi, innalzamento dei mari o stress idrici possono generare danni severi e migrazioni forzate.
Prospettive e soglia di irreversibilità
Le valutazioni più aggiornate indicano che senza azioni incisive la temperatura potrebbe avvicinarsi alla soglia dei 1,5 °C già entro poche decadi. Superare stabilmente quella linea aumenterebbe il rischio di impatti irreversibili: collasso di ecosistemi chiave, perdita di ghiaccio continentale, destabilizzazione di grandi pozzi naturali di carbonio e cambiamenti persistenti nella circolazione oceanica e atmosferica.
Proprio per questo i target di Parigi, i piani nazionali (NDC), le politiche urbane (mobilità, efficienza, verde urbano) e le strategie aziendali (ESG, innovazione pulita) sono tasselli dello stesso mosaico: servono coerenza, tempestività e responsabilità condivisa, spinta dalla consapevolezza pubblica e da meccanismi di mercato ben disegnati.
Dalle cause energetiche e industriali all’uso del suolo, dai trasporti agli stili di vita, le leve d’azione sono molteplici e interconnesse. Affrontare il riscaldamento globale significa ridurre rapidamente le emissioni, proteggere e ripristinare gli ecosistemi, potenziare i pozzi naturali, sostenere l’adattamento delle comunità e innovare processi e prodotti lungo l’intera economia, così da tenere viva la finestra dei 1,5 °C e garantire benessere, salute e sicurezza alle generazioni presenti e future.
