- Distinzione tra inquinanti primari emessi direttamente e secondari formati in atmosfera (ozono, nitrati, solfati, acidi).
- Indicatori chiave: PM10/PM2,5, SO2, NOx, O3, CO e COV, con effetti su salute e ambiente documentati.
- Ruolo decisivo di condizioni meteo (inversioni, bassa umidità) e norme con valori limite e soglie.
Quando parliamo di qualità dell’aria, ci riferiamo alla presenza di sostanze che, oltre un certo livello, possono alterare il benessere e la sicurezza collettiva. Un inquinante atmosferico è qualunque sostanza presente nell’aria che, per concentrazione e durata, renda l’atmosfera inadatta, nociva o molesta per la salute, danneggi materiali, fauna e flora o limiti l’uso delle proprietà e le attività della comunità.
La varietà di sostanze che circolano in atmosfera è enorme, per questo la classificazione non è banale. Per orientarsi, si utilizza una distinzione operativa tra due grandi categorie: inquinanti primari (emessi direttamente dalle sorgenti) e inquinanti secondari (formati in aria da reazioni tra primari e costituenti naturali dell’atmosfera). La valutazione dell’inquinamento si basa su indicatori universalmente adottati, scelti per frequenza di riscontro ed effetti avversi documentati.
Che cos’è un inquinante atmosferico e come si misura
Il livello di inquinamento è legato alla quantità e al tipo di sostanze presenti e ai tempi di esposizione. La misura sistematica della qualità dell’aria si concentra su un gruppo limitato di inquinanti-chiave, scelti sia per la loro diffusione sia per la disponibilità di metodi affidabili di monitoraggio. Questa strategia consente di proteggere la popolazione e l’ambiente intervenendo sulle sorgenti più rilevanti.
Occorre anche considerare il ruolo della meteorologia. Venti deboli, condizioni di calma e inversioni termiche a bassa quota ostacolano la dispersione, favorendo l’accumulo di inquinanti, soprattutto nelle stagioni fredde in aree urbanizzate.
Inquinanti primari e inquinanti secondari: differenze ed esempi
I primari sono emessi direttamente: ossidi di zolfo (SOx), ossidi di azoto (NOx), ammoniaca (NH3), monossido di carbonio (CO), anidride carbonica (CO2), metano (CH4), fuliggine, aldeidi e altri composti organici. Arrivano da traffico, attività industriali, combustioni di biomasse, riscaldamento, evaporazione di carburanti e solventi.
Gli inquinanti secondari non vengono emessi tali e quali: si formano in atmosfera per reazioni fotochimiche e ossidazioni. Tra gli esempi più noti figurano il perossido di idrogeno (H2O2), l’acido solforico (H2SO4), l’acido nitrico (HNO3), il triossido di zolfo (SO3), nitrati (NO3−) e solfati (SO42−), oltre all’ozono troposferico (O3). In alcune circostanze anche il metano può essere considerato secondario, quando deriva dalla decomposizione di materia organica e successivamente contribuisce all’effetto serra.
La formazione di ozono e di altri ossidanti fotochimici è il cuore dello smog urbano: NOx e COV (composti organici volatili) reagiscono alla luce solare generando O3, PAN (perossiacetilnitrato), formaldeide e acroleina, responsabili di irritazioni e perdita di visibilità.
Grandi famiglie chimiche degli inquinanti atmosferici
Per capire la complessità del problema, gli inquinanti vengono anche raggruppati per famiglia chimica. Questa chiave di lettura aiuta a collegare sorgenti, trasformazioni in aria ed effetti sanitari e ambientali.
| Composti dello zolfo | Composti dell’azoto | Composti organici | Monossido di carbonio | Composti alogenati | Metalli pesanti | Materiale particellare | Ossidanti fotochimici |
|---|---|---|---|---|---|---|---|
| SO2, SO3 | NO, NO2 | Idrocarburi, alcoli, aldeidi | CO | HCl, HF | Pb, Cd | Miscela di particelle solide e liquide | O3 |
| Solforati ridotti: H2S, mercaptani, CS2 | NH3 | Chetone, acidi organici | Cloruri, fluoruri | As, Ni | Formaldeide | ||
| Solfati | HNO3, nitrati | – | – | Altri | Acroleina, PAN |
Tra questi, gli ossidanti fotochimici e il particolato fine sono i marcatori più sensibili della qualità dell’aria urbana, perché si formano o evolvono rapidamente in base a sole, temperatura e miscele di precursori.
Materiale particolato (PTS, PM10, PM2,5) e fumo
Con “materiale particolato” si indicano polveri, fumi e aerosol liquidi sospesi per il loro ridottissimo diametro. Si distinguono PTS (Particelle Totali in Sospensione, fino a 50 µm), PM10 (≤ 10 µm) e PM2,5 (≤ 2,5 µm), oltre al parametro “fumo” legato alla fuliggine.
Le sorgenti principali sono traffico veicolare, processi industriali, combustione di biomasse, risospensione di polvere dal suolo e, naturalmente, fenomeni naturali come mareggiate e incendi boschivi. Una quota significativa si forma in aria a partire da SO2, NOx e COV, che danno luogo a nitrati e solfati secondari.
Più le particelle sono piccole, maggiore è la penetrazione nelle vie aeree: le PM2,5 raggiungono gli alveoli, con effetti su apparato respiratorio e cardiovascolare. Per l’OMS non esistono soglie completamente sicure; inoltre il particolato riduce la visibilità e può alterare nutrienti di suoli e acque.
PTS: includono la frazione più grossolana fino a 50 µm; una parte è inalabile, il resto genera disagio e sporco su superfici e manufatti. PM10: arrivano alle vie aeree superiori e, in parte, agli alveoli in funzione della distribuzione dimensionale. PM2,5: penetrano in profondità e sono associate ai maggiori rischi sanitari.
Il parametro Fumo è legato alla componente fuligginosa da combustione; la sua determinazione si basa sulla riflettanza su filtri campionati, risultando indicativa del tenore di nerofumo in atmosfera.
Diossido di zolfo (SO2), monossido di carbonio (CO) e ossidi di azoto (NOx)
Il SO2 proviene soprattutto dalla combustione di combustibili contenenti zolfo (gasolio, olio combustibile, alcune benzine) e da processi industriali. È un precursore della pioggia acida e può generare particelle solfatiche che degradano la visibilità. Anche a basse concentrazioni provoca broncospasmo transitorio; a livelli crescenti, aumenta la secrezione mucosa e infiamma le mucose, riducendo il movimento ciliare.
Il CO è incolore e inodore, tipico della combustione incompleta (traffico, soprattutto in aree ad alta circolazione). Si lega rapidamente all’emoglobina, riducendo il trasporto di ossigeno e, a concentrazioni elevate, può portare ad asfissia; l’esposizione cronica compromette sistema nervoso, cardiovascolare e polmonare.
Gli NOx (soprattutto NO e NO2) si formano in tutte le combustioni ad alta temperatura: traffico, impianti industriali, centrali termiche, inceneritori. Il NO si ossida a NO2 alla luce, avviando la catena fotochimica che produce ozono. Il NO2 irrita le mucose, aumenta la suscettibilità a disturbi respiratori e contribuisce alla pioggia acida, all’alterazione della visibilità e al riscaldamento climatico.
Ozono e altri ossidanti fotochimici
L’ozono troposferico non è emesso dalle sorgenti: si forma da reazioni tra NOx e COV alla luce solare, con temperature elevate che ne favoriscono l’accumulo. È un potente ossidante, irrita le vie respiratorie e gli occhi e riduce la capacità polmonare, aggravando patologie come asma e bronchiti; in agricoltura causa perdite di resa e lesioni fogliari.
È essenziale distinguere tra ozono a bassa quota (nocivo) e stratosferico (circa 12–50 km): lo strato di ozono in quota filtra l’UV solare e protegge la vita sulla Terra. Nelle città lo smog fotochimico dovuto a ozono e altri ossidanti comporta anche una forte riduzione della visibilità.
Oltre all’O3, sono rilevanti PAN (perossiacetilnitrato), formaldeide e acroleina, sostanze pungenti e irritanti che contribuiscono agli effetti acuti e cronici dell’inquinamento fotochimico.
Composti organici volatili (COV) e idrocarburi
I COV derivano da combustioni incomplete ed evaporazione di carburanti, solventi e altri prodotti organici (traffico, industrie, stoccaggi e travasi). Molti COV sono attivamente coinvolti nella formazione dell’ozono. Tra gli aromatici monociclici più diffusi in area urbana figurano benzeni, toluene, etilbenzene e xilenì, alcuni dei quali sono cancerogeni o mutageni.
Gli idrocarburi possono irritare occhi, naso, cute e prime vie aeree e, in vari casi, presentare proprietà cancerogene. In prospettiva climatica, specie come il metano contribuiscono all’effetto serra. Interessante notazione: le microplastiche possono adsorbire inquinanti ambientali e aumentarne la tossicità, fungendo da vettori.
Metalli pesanti e piombo (Pb)
Tra i metalli monitorati spicca il piombo (Pb). Storicamente il traffico stradale è stato la principale fonte areale; la transizione alle benzine senza piombo ha ridotto drasticamente le concentrazioni in aria. In Brasile, ad esempio, il piombo è stato eliminato dalla benzina nel 1992, con un forte calo delle concentrazioni urbane; oggi il problema si concentra in prossimità di fonderie e stabilimenti di batterie al piombo.
Altri metalli attenzionati includono arsenico (As), cadmio (Cd), nichel (Ni) e mercurio (Hg), nonché idrocarburi policiclici aromatici (IPA), oggetto di obiettivi di qualità dell’aria e limiti normativi.
Zolfo ridotto totale (ERT) e odori
La famiglia dello zolfo ridotto totale (ERT) comprende solfuro di idrogeno (H2S), metil-mercaptano, dimetil-solfuro e dimetil-disolfuro. Sono tipici di raffinerie, cartiere, impianti di trattamento reflui e produzioni di rayon viscosa, ma possono essere generati anche naturalmente (degradazione anaerobica di materia organica solforata). Già a basse concentrazioni producono odori intensi, simili all’uovo marcio o al cavolo.
Condizioni meteorologiche e umidità: quando l’aria peggiora
Nei mesi freddi sono frequenti inversioni termiche: uno strato d’aria più calda sovrasta quello più freddo vicino al suolo e intrappola gli inquinanti. Venti deboli e calma accentuano l’accumulo, soprattutto nelle conche urbane.
La bassa umidità amplifica i disturbi. Con UR tra 20% e 30% conviene evitare sforzi all’aperto tra le 11 e le 15 e umidificare gli ambienti; tra 20% e 12% meglio sospendere attività esterne tra le 10 e le 16 ed evitare affollamenti in spazi chiusi; al di sotto del 12% si raccomanda di interrompere le attività all’aperto, umidificare bene gli interni (specialmente camere dei bambini e ospedali), usare soluzioni fisiologiche per occhi e narici e bere molta acqua.
Principali inquinanti: caratteristiche, fonti, effetti
La tabella seguente riassume sei contaminanti molto monitorati nelle città. Collegare proprietà, sorgenti ed effetti aiuta a indirizzare gli interventi su emissioni e tutela sanitaria.
| Inquinante | Caratteristiche | Fonti | Effetti |
|---|---|---|---|
| Diossido di zolfo (SO2) | Incolore; odore pungente a concentrazioni elevate | Combustioni con zolfo; processi industriali | Irritazione e broncospasmo; acidificazione (piogge acide) |
| Diossido di azoto (NO2) | Tonalità bruna; ossidante | Traffico; impianti termici e industria | Problemi respiratori, specie nei bambini; precursore di ozono e nitrati |
| Monossido di carbonio (CO) | Incolore, inodore; tossico | Traffico (veicoli senza catalizzatore in primis); combustioni | Si lega all’emoglobina; vertigini, cefalea, stanchezza fino ad asfissia |
| Particolato (PM10, PM2,5) | Minerale solido; organico da condensazione | Traffico, industria, edilizia, agricoltura, vulcani e incendi | Danni respiratori; riduzione scambi gassosi nelle piante |
| Ozono (O3) | Incolore; forte ossidante | Reazioni tra NOx e COV con sole e caldo | Irritazione vie aeree; danni a colture e vegetazione |
| Benzeno (C6H6) | Incolore, altamente infiammabile, volatile | Processi industriali; emissioni da carburanti | Se inalato: vertigini, cefalea; effetti cronici gravi |
Indicatori di qualità dell’aria: cosa si monitora e perché
A livello internazionale e nelle reti locali, si monitorano indicatori come particolato (PTS, PM10, PM2,5, “fumo”), SO2, NOx, O3, CO e COV. L’adozione di questi parametri nasce dalla loro frequenza e dai documentati effetti sanitari e ambientali. In diversi Paesi e regioni si seguono anche il piombo e altre specie selezionate.
Un esempio operativo è il monitoraggio da parte di agenzie ambientali come la CETESB (Stato di San Paolo, Brasile), che oltre ai “classici” segue metalli e specie dello zolfo ridotto. Questa scelta risponde a contesti industriali locali e a priorità sanitarie.
Fonti naturali e antropiche, norme e obiettivi di qualità dell’aria
Le sorgenti di emissione sono numerose e variabili. Antropiche: traffico, industria, centrali termiche, cantieri, stoccaggi e uso di solventi. Naturali: eruzioni vulcaniche, tempeste di sabbia, aerosol marino, incendi boschivi non antropici. Le miscele reali in città risultano da una combinazione di molti inquinanti visibili e invisibili, con interazioni chimiche che generano contaminanti secondari.
La legislazione sulla qualità dell’aria stabilisce obiettivi e valori limite per un insieme di sostanze: SO2, NO2, NOx, benzene (C6H6), CO, O3, PM10 e PM2,5 e, per i metalli e composti associati, piombo (Pb), arsenico (As), cadmio (Cd), nichel (Ni), mercurio (Hg) e IPA. Sono previsti valori limite, obiettivi di lungo periodo, valori bersaglio e soglie di informazione e di allerta per prevenire o ridurre impatti su salute ed ecosistemi, insieme a limiti alle emissioni per le fonti più rilevanti.
Effetti su salute e ambiente: quanto conta l’aria che respiriamo
L’inquinamento atmosferico è associato a un ampio spettro di esiti: riacutizzazioni respiratorie, malattie cardiovascolari, irritazioni oculari e cutanee e aumentata suscettibilità alle infezioni. L’ONU stima che circa 7 milioni di persone muoiano prematuramente ogni anno a causa dell’aria inquinata e che il 90% della popolazione mondiale respiri aria di qualità inadeguata.
Gli effetti ambientali includono danni alla vegetazione e all’agricoltura (ozono), acidificazione di suoli e acque (SO2, NOx), alterazioni della visibilità (particolato e smog fotochimico) e modifiche dell’equilibrio dei nutrienti in ambienti terrestri e acquatici.
Esempi pratici di primari e secondari: dal tubo di scappamento allo smog
Esempi tipici di primari: CO dai gas di scarico per combustione incompleta; SOx da processi industriali; aldeidi e fuliggine da combustioni; piombo storicamente dai carburanti; CFC un tempo diffusi in aerosol e refrigeranti, poi ridotti per il loro impatto sull’ozono stratosferico. Queste specie entrano direttamente in aria e possono causare danni immediati.
Esempi di secondari: H2SO4 e HNO3 che portano alla pioggia acida; O3 e radicali liberi della nebbia fotochimica; PAN; nitrati e solfati che aumentano il particolato fine. In ambiente marino e dulciacquicolo, l’eutrofizzazione da eccesso di nutrienti (per esempio nitrati da fertilizzanti) può causare fioriture algali massicce seguite da morie e cattivi odori, un fenomeno che rappresenta una forma di contaminazione biologica indotta.
Come ridurre le emissioni e l’esposizione nella vita di tutti i giorni
La riduzione del rischio passa da politiche pubbliche e comportamenti personali. Piccole scelte quotidiane, sommate, fanno una grande differenza.
- Segnala emissioni moleste o sospette nella tua città (camini industriali, fumi persistenti).
- Preferisci trasporti pubblici, bicicletta e percorsi a piedi quando possibile.
- Arieggia gli ambienti interni per rinnovare l’aria, specie lontano dalle ore di punta del traffico.
- Pulisci con aspirapolvere o panni umidi: riduci la risospensione di polveri fini.
- Umidifica gli ambienti in periodi secchi (umidificatori o semplici contenitori d’acqua).
- Valuta purificatori d’aria domestici, usandoli in modo adeguato e manutentendoli regolarmente.
- Coltiva piante note per la loro capacità di migliorare l’aria indoor.
- Sostituisci spray aerosol profumati con oli essenziali ben diluiti e usati con moderazione.
Aria pulita significa governance, controllo delle fonti e scelte consapevoli. Conoscere le differenze tra inquinanti primari e secondari, le famiglie chimiche coinvolte e il ruolo delle condizioni meteo consente di interpretare meglio gli avvisi e i bollettini sulla qualità dell’aria. Dai solfati e nitrati secondari che accrescono il particolato fine, all’ozono che nasce dall’intreccio tra NOx e COV alla luce del sole, fino ai metalli e ai composti dello zolfo ridotto che generano odori, tutti questi tasselli compongono il quadro dell’inquinamento urbano e regionale. Le reti di monitoraggio e le norme fissano paletti chiari; alle istituzioni spetta ridurre le emissioni delle grandi fonti, a noi il compito di limitare l’esposizione e scegliere opzioni a minore impatto.
