- Le autorità (MHRA, AEMPS, EMA, FDA) confermano l’uso del paracetamolo in gravidanza se indicato.
- Gli studi migliori con controllo tra fratelli non mostrano causalità con autismo/ADHD.
- Usare dose minima efficace per il tempo più breve; evitare FANS in gravidanza.
- Febbre/dolore non trattati sono rischi concreti per madre e feto: serve gestione clinica.

In questo approfondimento trovi una panoramica completa e aggiornata: cosa dicono i regolatori (MHRA, AEMPS, EMA, FDA), quali sono le evidenze più solide, come comportarsi nella pratica clinica e quali rischi comporta non trattare febbre o dolore in gravidanza. Per chiarezza, vengono riportati anche i limiti degli studi che hanno segnalato possibili associazioni e alcune note di responsabilità e privacy legate alle fonti consultate.
Cosa affermano le autorità sanitarie nel 2025
Il 26 settembre 2025 il Dipartimento della Salute e dell’Assistenza Sociale del Regno Unito ha diffuso un comunicato dopo l’eco mediatica sul tema. Il messaggio è stato netto: assumere paracetamolo in gravidanza, secondo indicazione, è considerato sicuro ed è l’analgesico di prima scelta.
- Non ci sono prove che l’uso di paracetamolo in gravidanza causi autismo nei bambini.
- Un ampio studio svedese del 2024 su 2,4 milioni di nati non ha trovato evidenze di un nesso causale con l’autismo, specie quando si controllano i fattori familiari confrontando fratelli.
- Febbre e dolore non trattati comportano rischi reali per il feto, dunque è fondamentale gestire questi sintomi con la terapia raccomandata.
- Non si consiglia il passaggio ad alternative come l’ibuprofene: gli antinfiammatori non steroidei (FANS) generalmente non sono raccomandati in gravidanza.
La stessa Agenzia regolatoria dei medicinali britannica (MHRA) ha riaffermato il punto: non esistono evidenze che l’assunzione di paracetamolo in gravidanza provochi autismo. La direttrice per la sicurezza, Allison Cave, ha ricordato che l’analgesico rimane raccomandato se impiegato come da indicazioni, invitando le gestanti a seguire i consigli del NHS e a rivolgersi ai professionisti sanitari in caso di dubbi.
Nel contesto europeo, l’Agenzia Spagnola dei Medicinali (AEMPS), categoria ‘medicinali di uso umano, sicurezza’ (rif. MUH-FV, 05/2025), ha sottolineato che non c’è evidenza di un legame causale tra paracetamolo in gravidanza e autismo e che le donne possono continuare a impiegarlo quando necessario, alla dose minima efficace e per il tempo più breve possibile.
Il PRAC dell’EMA ha rivisto nel 2019 un segnale di sicurezza su possibili impatti del paracetamolo nel neuro-sviluppo: la letteratura (preclinica ed epidemiologica) è risultata non conclusiva. Da allora nelle informazioni di prodotto europee è stata inserita l’avvertenza che gli studi epidemiologici sul neurosviluppo nei bambini esposti in utero mostrano risultati non definitivi; nel 2025 l’EMA ha confermato che le raccomandazioni restano invariate.
Il 22 settembre 2025, la FDA statunitense ha annunciato un aggiornamento dell’etichettatura per riflettere la possibile associazione tra uso in gravidanza e diagnosi successive di autismo o ADHD. La stessa FDA ha rimarcato che non è stata stabilita una relazione causale e ha ricordato che la febbre in gravidanza può richiedere trattamento; negli USA, l’acetaminofene è l’unico antipiretico da banco approvato in gravidanza.
Altre autorità convergono: la TGA australiana e Health Canada continuano a sostenere l’uso appropriato del paracetamolo. L’OMS lo include nella Lista dei Farmaci Essenziali, a conferma del suo ruolo chiave nella salute pubblica.
Le prove scientifiche: cosa dicono gli studi
La discussione scientifica è stata alimentata da vari studi osservazionali e revisioni. Un gruppo di ricerca di Harvard ha passato al setaccio 46 studi: 27 segnalavano un’associazione tra uso in gravidanza e disturbi del neurosviluppo, 9 non trovavano legami significativi e 4 suggerivano addirittura un rischio ridotto. Risultati disomogenei, quindi, che richiedono attenzione al metodo.
Il lavoro più robusto pubblicato nel 2024 su JAMA ha coinvolto quasi 2,5 milioni di bambini nati in Svezia tra il 1995 e il 2019. Usando un’analisi tra fratelli (sibling-control) per tenere conto di genetica e ambiente familiare, non è emersa alcuna evidenza di aumento di rischio per autismo, ADHD o disabilità intellettiva associata all’uso materno di paracetamolo in gravidanza (gli effetti suggeriti dai modelli standard si annullavano nel confronto tra fratelli).
Questo approccio è particolarmente convincente se si considera che tra fratelli il rischio condiviso di autismo può essere intorno al 20%. Un’ampia coorte giapponese (oltre 200.000 bambini) che ha adottato confronti tra fratelli ha confermato l’assenza di un nesso.
Alcuni metanalisi precedenti hanno stimato aumenti modesti del rischio (per esempio, rapporto di rischio combinato 1,34 per ADHD e 1,19 per disturbo dello spettro autistico), ma con eterogeneità molto alta e design osservazionali esposti a numerosi bias. Tra le criticità più frequenti: misurazione dell’esposizione tramite auto-dichiarazione (rischio di recall bias), scarsa documentazione su dose e durata (che impedisce analisi dose–risposta affidabili) e valutazioni non uniformi dei risultati sul neurosviluppo tra gli studi.
Una revisione del 2025 che applica la metodologia Navigation Guide ha riacceso il dibattito, ma diversi punti metodologici sono stati contestati: mix di studi di qualità variabile, esposizione spesso auto-riferita, informazioni limitate su dosi e tempi e outcomes misurati con strumenti differenti. È stato segnalato anche un potenziale conflitto di interessi di uno degli autori in contenziosi legali, circostanza che invita a un’interpretazione particolarmente prudente dei risultati.
Complessivamente, gli esperti mettono in guardia dalla confusione per indicazione (chi assume analgesici può avere condizioni sottostanti associate indipendentemente ai rischi nei figli) e raccomandano analisi come i confronti tra fratelli o l’uso di esposizioni di controllo negativo per testare la presenza di fattori confondenti non misurati.
Alcuni autori hanno proposto che il paracetamolo possa agire come disruptor endocrino e che un’esposizione prolungata o elevata possa incidere su esiti urogenitali o sul neurosviluppo. La letteratura su questi aspetti è eterogenea e, come ribadito dai regolatori europei, al momento non è conclusiva; in ogni caso, l’uso prudente (dose minima efficace, periodo più breve) resta la strategia consigliata.
Uso reale in gravidanza: frequenza, dosi e chi prescrive
Indagini recenti mostrano che il paracetamolo è ampiamente usato dalle gestanti. In uno studio prospettico con 900 questionari (tasso di risposta 93%), il 67,4% delle donne ha riferito di averlo assunto durante la gravidanza, valore lievemente superiore a quanto riportato in molta letteratura internazionale.
Il profilo d’uso descritto è rassicurante: il 99% ha assunto dosi terapeutiche (meno di 4 g/die) e quasi la metà (45,7%) lo ha preso per periodi brevi (meno di 3 giorni). Le ragioni principali di prescrizione sono risultate la cefalea, i sintomi da raffreddamento e il dolore odontogeno.
La distribuzione per trimestri è stata abbastanza uniforme: il 12,5% ha assunto il farmaco in due trimestri e circa un quinto (21,5%) per tutta la gravidanza. In rari casi si è raggiunta la dose massima giornaliera (≥4 g/die), soprattutto per cefalea intensa, sindromi catarrali o odontalgia.
Chi lo prescrive? Soprattutto il medico di medicina generale (39%) e il ginecologo (37%). Il 51,9% delle intervistate aveva ricevuto informazioni sui possibili effetti del paracetamolo, e tra queste il 74% riferiva che il messaggio ricevuto indicava assenza di rischi per il feto se usato correttamente.
Limiti dello studio: campione con alto livello di istruzione (prevalentemente laureate), rischio di bias di memoria per la natura retrospettiva di alcune domande, mancata valutazione degli esiti neonatali e scarse informazioni sulla durata esatta dei periodi a dose massima. Resta comunque uno spaccato utile che indica la necessità di migliorare l’educazione sanitaria e promuovere un uso giudizioso.
Dotto arterioso, segnalazioni neonatali e possibili meccanismi
È noto che il paracetamolo attraversa la placenta e raggiunge il feto. In letteratura sono stati riportati casi di neonati con insufficienza cardiaca e ipertensione polmonare legati a chiusura del dotto arterioso in utero con esposizione al paracetamolo. Una revisione di casi (ottobre 2018) ha ritenuto probabile un ruolo causale in questo specifico scenario clinico.
Non è un paradosso: il paracetamolo è stato utilizzato con efficacia anche per la chiusura terapeutica del dotto arterioso pervio nei prematuri. Questi elementi non cambiano la raccomandazione generale, ma ricordano che l’uso in gravidanza va sempre ponderato e gestito sotto guida medica, specie in presenza di condizioni particolari.
Consigli pratici per donne e professionisti
Le indicazioni sono univoche tra le principali istituzioni: usare il paracetamolo solo quando c’è una reale necessità clinica, alla dose minima efficace e per il minor tempo possibile. Se febbre o dolore persistono, è essenziale confrontarsi con il proprio curante.
- Per le donne: il paracetamolo può essere usato in gravidanza seguendo il foglietto illustrativo; in caso di dubbi o uso ripetuto, chiedi consiglio al professionista sanitario.
- Per i professionisti: mantenere l’uso quando indicato, valutando caso per caso febbre e dolore, e puntare su dose minima, frequenza più bassa e durata più breve.
Un punto importante spesso sottovalutato: la febbre non trattata nelle prime fasi della gestazione può aumentare il rischio di perdita di gravidanza, difetti del tubo neurale, labiopalatoschisi, anomalie cardiache, e più avanti può associarsi a parto pretermine o restrizione della crescita. Per questo, in assenza di alternative sicure, trattare la febbre ha un razionale solido.
I FANS come l’ibuprofene non rappresentano una soluzione semplice: sono generalmente sconsigliati in gravidanza e non devono essere somministrati. Se la dose raccomandata di paracetamolo non controlla i sintomi o si rendono necessari impieghi ripetuti, serve una rivalutazione clinica.
Per casi complessi o comorbilità (per esempio in ambito reumatologico), sono disponibili guide specifiche come quelle della Società Britannica di Reumatologia sulla prescrizione in gravidanza e allattamento, utili per inquadrare i farmaci d’uso comune e le alternative.
Dibattito pubblico, politica e comunicazione
Nello spazio pubblico il tema è stato talvolta politicizzato. Dichiarazioni che collegano paracetamolo e autismo sono state smentite dalle principali società scientifiche, che sottolineano l’assenza di prove causali e ricordano i rischi di scoraggiare un trattamento necessario come l’antipiresi in gravidanza.
L’ACOG ha pubblicato una pratica raccomandazione ribadendo che l’acetaminofene resta l’analgesico/antipiretico di prima scelta in gravidanza e che i dati attuali non supportano un legame causale con disturbi del neurosviluppo. Posizioni in linea arrivano dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologists, da FIGO e dalla Society for Maternal-Fetal Medicine.
In parallelo, gli organismi regolatori hanno mantenuto un approccio di vigilanza continua e aggiornamento trasparente delle informazioni: se emergessero dati nuovi in grado di cambiare il bilancio beneficio–rischio, verrebbero comunicati senza indugio.
Il dibattito si incrocia a volte con narrazioni prive di fondamento scientifico (ad esempio contro i vaccini), già confutate da metanalisi robuste. È un promemoria sull’importanza di distinguere correlazioni spurie da causalità e di affidarsi a fonti qualificate.
Note su responsabilità, privacy e qualità delle informazioni
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Per chi desidera approfondire, è disponibile materiale tecnico e documenti pratici (ad esempio, scarica il PDF di riferimento). Confrontarsi con i documenti originali aiuta a interpretare correttamente raccomandazioni e avvertenze.
Il quadro complessivo che emerge è coerente: il paracetamolo, usato secondo indicazione, resta il farmaco di prima scelta per febbre e dolore in gravidanza; gli studi più grandi e metodologicamente accurati non supportano un nesso causale con autismo/ADHD quando si controllano i fattori familiari, mentre non trattare febbre o dolore può rappresentare un pericolo concreto. Finché la letteratura sul neurosviluppo resterà non conclusiva, la migliore strategia è l’uso prudente, la valutazione individuale e il dialogo costante con i professionisti.

